Vi racconto la mia Italia-Germania, 1970
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Vi racconto la mia Italia-Germania, 1970

Alla vigilia della sfida di Varsavia i ricordi di una partita entrata nella storia

di Stefano Scotti

Non so se è stata davvero la «partita del secolo», però per me, allora sedicenne, e per tutti i ragazzi del mio gruppo quell’Italia-Germania dei Mondiali del 1970 era «la» partita. Ne parlavamo da giorni. La scuola era finita da poco ed ero già in campagna, nell’Oltrepo pavese, a Salice Terme. Al campo di calcio quella partita l’avevamo già giocata almeno due o tre volte. Non so se per un inconscio auto condizionamento o perché nella scelta delle squadre i più forti erano finiti tutti nella squadra degli azzurri, ma nelle nostre simulazioni sul rettangolo verde l’Italia era sempre uscita vincitrice.

Poi la grande serata del 17 giugno. L’unico bar in grado di contenere tutti era il «Caffè bagni», quello a fianco dello stabilimento termale che proprio in occasione dei Mondiali aveva acquistato un televisore con uno schermo enorme (o almeno, allora così mi sembrava). Non c’era un posto libero: tutta la popolazione maschile del paese si era stipata nel salone. Giravano fiumi di spuma. Qualcuno più ardito osava ordinare un amaro. La nebbia delle sigarette si tagliava con il coltello.

La tensione era altissima e già dopo il primo tempo non avevo più un’unghia intatta nelle mani. Gerd Müller era lo spauracchio. Poi il sollievo: gol di Bobo Boninsegna per l’1-0. Ma è ancora troppo poco per stare tranquilli. Infatti a una manciata di secondi dalla fine arriva il gol di Karl Heinz Schnellinger. Un autentico tradimento per me, tifoso rossonero: a rovinarci tutto era stato proprio il terzino tedesco del mio Milan.

I supplementari diventano una sofferenza. Nei miei ricordi tutto è accelerato: Müller porta avanti i tedeschi, pareggia Tarcisio Burgnich (chi di terzino ferisce…), andiamo avanti con Gigi Riva, ma Müller segna ancora beffando proprio Gianni Rivera appostato sul palo lontano di Albertosi (davvero una serataccia per un milanista) e infine l’urlo liberatorio con il gol proprio di Rivera. Un colpo fantastico prendendo in controtempo Sepp Meier, un altro monumento del pallone.

È finita così, con tutti i ragazzi di Salice a bagno nella fontana davanti al bar. Tutti con una convinzione granitica: con questa squadra vinciamo il Mondiale e ci portiamo a casa per sempre la Coppa Rimet (l’avevamo già vinta due volte e il regolamento prevedeva che sarebbe appartenuta per sempre a chi l’avesse vinta per tre volte).

Non andò così. Qualche giorno dopo il Brasile, l’altra finalista, ci schiantò 4-1. Era una squadra mitica: quella di Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelé, Rivelino. Al gol di Pelé, che colpì di testa sopravanzando Burgnich di quasi tutto il tronco, ho pianto.

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