Il calcio italiano sotto attacco: reagire o si perde tutto
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Il calcio italiano sotto attacco: reagire o si perde tutto

I fatti di Torino e il pugno di Bergamo sono lo spot di un campionato che non si lascia alle spalle il brutto. Anche nella domenica in cui regala spettacolo...

C'è un profondo senso di disagio nel raccontare una domenica che ha riportato il calcio italiano sulle pagine dei giornali di tutto il mondo non per lo spettacolo, che pure si è visto, ma per fatti di pura violenza e cronaca nera. Bisogna chiamare le cose con il loro nome e dire, dunque, che il pullman della Juventus è stato vittima di un agguato e che lanciare una bomba carta in mezzo a una curva gremita di tifosi equivale a tentato omicidio. Solo mettendo le parole al posto giusto si riesce a dare una dimensione dell'abisso in cui siamo caduti e a provare a darne una spiegazione. Discutendo anche del ruolo dei medie e delle storture di un sistema in cui la faziosità è stata elevata a merito, purché non si cada nella trappola dell'equazione che vuole i vandali da stadio attenti lettori degli editoriali e per questo legittimati nella loro follia. Di quanto accaduto intorno e dentro lo stadio Olimpico non c'è nulla da salvare e nulla che autorizzi alcuno a farsi giudice degli altri. C'è però una grande occasione di riscatto e sin da ora ci sono reazioni e comportamenti che andranno pesati e, quelli sì, giudicati. Guai a chi si tirerà indietro.

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Chi condanna e chi no: serve una risposta

La Juventus ha condannato i fatti del derby con una nota ufficiale, richiamando tutti a una riflessione sul proprio ruolo. Parole da sottoscrivere cui dovranno seguire i fatti. In un mondo ideale, dopo una domenica da rosso vergogna ci sarebbe l'accettazione del verdetto della giustizia sportiva, la collaborazione per identificare i responsabili, la loro espulsione dagli stadi e la richiesta dei danni materiali e d'immagine. In passato il club di Agnelli ha dimostrato di essere capace di seguire la linea della fermezza e mai come questa volta sarebbe utile un segnale di inflessibilità. Il presidente del Torino, Cairo, ha genericamente parlato di "non tifosi" ed è atteso anche lui ai fatti. Poi ci sono tutti gli altri, quelli che nelle scorse settimane hanno lasciato solo Pallotta nella sua battaglia contro gli idioti da stadio e che ora hanno un'occasione per redimersi. L'allarme suona forte per tutti. Come dimostrano i dati del Viminale c'è un ritorno di fiamma degli hooligans di casa nostra, come se ci si trovasse di fronte alla battaglia finale. Lo Stato deve fare la sua parte, ma più che la repressione oggi sarebbe utile una presa di posizione univoca da parte dei club, quella che è mancata davanti alle mille emergenze degli anni scorsi.


I nostri stadio colabrodo: come entra tutta quella roba?

Il primo passo sarà rendere meno vulnerabili i nostri stadi. Come è possibile che entri di tutto senza alcun controllo? Striscioni di decine di metri, scritte ingiuriose e infamanti, bombe carta e petardi totalmente illegali. E' accettabile che impianti su cui per giorni si concentra l'attenzione delle forze dell'ordine e delle società stesse siano in realtà un porto franco in cui non si riesce a garantire che materiale pericoloso per l'incolumità altrui rimanga fuori? La domanda è ovviamente retorica e porta dritti all'ultimo stadio della convivenza che ancora esiste tra le frange estreme delle tifoserie e il resto del mondo del pallone. Risolvere quella, con qualsiasi mezzo, significherebbe fare un deciso passo avanti e su quello si dovrebbe concentrare l'azione dello Stato piuttosto che su sterili tentativi qua e là. Dopo aver schedato tutti quelli che entrano in uno stadio (o, forse, quasi tutti), aver messo tornelli, steward e limitazioni senza ottenere un risultato concreto, adesso è il momento di affrontare il problema alla radice, anche ipotizzando lo scioglimento delle tifoserie organizzate. Può essere esagerato, ma a emergenza si risponde con soluzioni radicali.

Juve, scudetto solo rimandato (ma qualche cedimento c'è)

Le violenze dell'Olimpico si sono portate via la bellezza di un derby che in campo è stato meraviglioso, giocato da autentici guerrieri e vinto dal Torino che ha rotto un digiuno lungo vent'anni. Allegri recrimina a ragione per i legni colpiti, ma la scelta di cambiare mezza squadra rispetto a Montecarlo la dice lunga sulle priorità attuali dei bianconeri e non sembra essere una cattiva idea preservare forze e concentrazione per il Real Madrid. Qualche scricchiolio si sente, perché alcuni uomini centrali nella Juve non stanno benissimo e proprio per questo Max fa bene a dosare gli impegni. Lo scudetto arriverà comunque e poco conta se subito contro la Fiorentina o dovendo attendere qualche giorno. Il Torino di Ventura esce tra applausi meritati. E' stato anche fortunato, ma fa il paio con la sfiga che lo ha colpito nel derby dell'andata, altra partita meravigliosa. Le due squadre vanno ringraziate per averci regalato complessivamente 180 minuti di spettacolo.

Il Far West di Bergamo: subito la verità

Risposte immediate servono anche su quanto accaduto a Bergamo nel dopo partita di Atalanta-Empoli. Non tanto per il pugno di Denis a Tonelli che potrebbe quasi essere derubricato a momento di tranche agonistica non giustificabile, ma spiegabile (e nemmeno sarebbe la prima volta). Quello che colpisce è la ricostruzione dei fatti fornita dall'Empoli, che racconta di un agguato negli spogliatoi con complicità e modalità che hanno poco a che fare con lo sport: luci spente, compagni a schermo e cose così. Circostanze che necessitano di immediata analisi da parte delle istituzioni sportive e delle forze dell'ordine perchè, se confermate, la punizione dovrà essere durissima e non ci sarebbe alcuna spiegazione possibile. Anche su questo si misurerà il grado di serietà dei club coinvolti. Se davvero Denis ha agito come raccontato da Maccarone il suo campionato e la sua avventura con la maglia della Atalanta devono essere finiti qui.

Volata Champions: vedi Napoli e poi muori

Alle spalle della Juve la volata per un posto in Champions sarà rovente. Non interesserà solo le romane, nel loro duello per il secondo posto, ma anche il Napoli che dalla notte del ko in Coppa Italia non sbaglia più un colpo: 4 vittorie tra campionato ed Europa League e un solo pareggio, peraltro inutile contro il Wolfsburg. La squadra di Higuain corre così forte che in tre giornate ha recuperato 7 punti alla Roma (ora a +2) e 5 alla Lazio (+3); sta bene e, a differenza delle romane, non pare avere pesi sulle spalle. Anche l'aver chiarito che il futuro di Benitez non è sotto il Vesuvio è stato elemento di trasparenza. Il calendario è tutto dalla parte del Napoli, mentre la Roma è alla disperata ricerca di gol e la Lazio pare essersi fermata. Contro il Chievo mancavano troppi giocatori importanti, però l'occasione era imperdibile e, invece, è stata sprecata. Pioli potrebbe pentirsene nel finale di campionato quando avrà un calendario terribile rispetto alle avversarie.

L'Europa League che nessuno vuole (e l'Inter ancora in corsa)

Poi c'è la corsa per un posto in Europa League che continua a essere un gigantesco ciapanò. Dopo la 29° giornata sembrava tutto chiaro: Fiorentina e Sampdoria in Europa, le altre fuori con fischi sonori per l'Inter di Mancini, allora appena bloccata dal derelitto Parma. Ora che sono trascorsi solo 270 minuti lo scenario è cambiato. Ecco la classifica dalla 29° alla 32°: Inter 7 punti, Genoa 6, Torino 5, Milan e Sampdoria 2, Fiorentina 0. Il prodotto di questo ribaltone è che ci sono cinque squadre in cinque punti, in lotta per due posti e con pronostico impossibile da fare. A occhio la Samp sembra in frenata continua e meno adeguata delle altre, la Fiorentina ha la testa alla chance europea, l'Inter la leggerezza di chi è un miracolato e le outsider (Torino e Genoa) corrono da sfavorite con tutto quello che ne consegue. Il Toro, poi, ha anche il vantaggio di un calendario non impossibile. Difficile sbilanciarsi, ma non si escludono sorprese il 31 maggio con l'augurio che, chiunque si aggiudichi la corsa, affronti l'Europa League con senso di responsabilità massima considerato che siamo tornati a giocarci il terzo posto nel ranking.

Milan e Inzaghi ai titoli di coda: la settimana delle scelte

Mentre gli altri ci provavano, il Milan osservava dal chiuso del ritiro di Milanello. Non si ha memoria di una punizione simile in casa rossonera ed è l'ultimo gradino della discesa verso la normalità di quello che è stato nell'ultimo trentennio il club più titolato al mondo. La discussione dai toni accesi tra Inzaghi e la squadra sul pullman a Udine rappresenta anche lo strappo finale tra giocatori e tecnico. In fondo poco importa se davvero qualcuno gli abbia rinfacciato di non essere all'altezza del Milan, visto che l'atto di accusa di Pippo nei loro confronti ha il sapore della delusione umana di chi si è sentito tradito. Lui credeva ancora alla possibilità di giocarsi una chance per il prossimo anno, loro no o, forse, hanno pensato di potersi salvare da soli. In mezzo c'è la gente che osserva sgomenta e butta gli occhi su quanto accade ad Arcore e dintorni. Sta finendo un'era e il cambiamento non sarà indolore. Solitamente queste transizioni non sono nemmeno veloci, cosa che annuncia tempi ancora difficili prima di tornare a rivedere la luce, in senso economico (fa spavento il meno 91,2 del bilancio) e sportivo.

La dignità del Parma: solo grazie

Quanto sta facendo il Parma dopo la dichiarazione di fallimento della società merita un capitolo a parte. Non è solo questione di risultati (2 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte), ma di dignità che Donadoni e i giocatori portano in giro come garanzia della regolarità del campionato e base su cui costruire un futuro, se mai sarà possibile. Già aver vissuto un finale di stagione normale ha del miracoloso, se poi il premio fosse l'anno prossimo un Parma ancora vivo in serie B sarebbe più che meritato, alla faccia di chi criticava il tentativo estremo della Figc di tenere in vita il club emiliano. Le basi perché qualcuno si avvicini si stanno ponendo, in campo e grazie al sacrificio del 50% dei proprio crediti da parte dei tesserati. Adesso serve l'altra parte, quella più difficile.

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Giovanni Capuano