Dopo Wimbledon, un Djokovic davvero n°1
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Dopo Wimbledon, un Djokovic davvero n°1

Sull'erba il tennista serbo ha ritrovato la vittoria, ma soprattutto la fiducia per il futuro: l'analisi del torneo con Jacopo Lo Monaco, voce tecnica di Eurosport - Fotogallery

Un successo che è un nuovo trampolino di lancio per un futuro saldamente da n°1. Così Jacopo Lo Monaco, voce tecnica di Eursosport, vede la vittoria di Novak Djokovic a Wimbledon contro Roger Federer: "Per come il tennista serbo aveva giocato nei quarti e in semifinale, sinceramente non pensavo che la finale andasse così. Invece si è subito intuito che era un Djokovic completamente diverso, molto più coraggioso e sicuro di sé. Nel 4° set ha avuto forse paura di vincere, anche per effetto delle ultime tre sconfitte in altrettante finali di Slam, ma è stato bravo a ricaricarsi mentalmente nel quinto set, sfruttando al meglio anche i minuti di pausa per l'intervento del fisioterapista da lui stesso richiesto. La sensazione è che questa vittoria possa avere sulla sua auto-stima lo stesso effetto di quella in Coppa Davis nel 2010, che venne seguita da uno strepitoso 2011".

Una ritrovata sicurezza per rimanere il n°1, dunque?

"Dichiaro già ora che Djokovic è per me il favorito a New York, anche se dovrebbe capire che non è un giocatore d'attacco: in semifinale ha voluto venire avanti come faceva Boris Becker e per un soffio non si è ritrovato al quinto set in un match che doveva invece vincere senza problemi. Se si convincerà di questo, diventerà ancora più difficile da battere".

Che dire invece di Roger Federer, ancora protagonista a un mese dal suo 33° compleanno?

"Già a inizio anno, con l'approdo alle semifinali dell'Australian Open, Federer ha dimostrato che può ancora sparare qualche cartuccia. E anche se in questa finale ha sempre dato l'impressione di dover fare qualcosa di miracoloso per rimanere attaccato al match, ha comunque costretto Djokovic al quinto set meritandosi tutti gli applausi del pubblico londinese. Anche se la sua Svizzera è in semifinale proprio contro l'Italia, gli auguro di vincere la Coppa Davis: un campione come lui merita di avere anche questo trofeo. Poi può sempre riprovarci l'anno prossimo sull'erba di Wimbledon, il torneo che più gli si addice".

Classe 1981 è anche Serena Williams, che al contrario di Federer sta invece attraversando un momento assai difficile: come interpretarlo?

"La campionessa americana è al suo terzo passaggio a vuoto questa stagione: in Australia ha perso per la prima volta in assoluto contro l'Ivanovic, a Parigi s'è fatta eliminare al secondo turno dalla spagnola Muguruza con un doppio 6-2, e ora a Wimbledon è crollata contro una giocatrice non assolutamente da erba come la francese Cornet. Come si usa dire, tre indizi fanno una prova... anche se è lo smarrimento denunciato nel doppio, con quel mancare anche la pallina lanciata dal raccattapalle, a farci chiedere cosa le stia accadendo. A settembre Serena compirà 33 anni e per una donna non hanno lo stesso valore di quelli di un uomo: forse sta già pensando a un futuro dove non debba trovare spazio solo il tennis".

E quali indicazioni sulle sue possibili eredi sono arrivate da questo Wimbledon?

"Replicando quanto di buono fatto vedere al Roland Garros, Simona Halep ed Eugenie Bouchard - semifinaliste nella stessa parte del tabellone - si sono confermate le giocatrici del futuro. Mentre la vincitrice Petra Kivtova ha un tennis perfetto per l'erba, ma al momento rimane a mio avviso incompiuta perché conosce un solo modo di giocare: deve sempre chiudere il punto entro 2-3 colpi. Un limite che al momento le impedisce di ottenere gli stessi risultati su altre superfici".

Veniamo alla vittoria della coppia Errani-Vinci, fruttata alle italiane un montepremi di 325 mila sterline inglesi, più di 400 mila euro: una scelta vincente anche e soprattutto dal punto di vista economico quella di dedicarsi al doppio... "Sicuramente, ma la valutazione dal punto di vista sportivo è un'altra: il fatto di vincere nel doppio ha aumentato la loro auto-stima e capacità di gestire la tensione anche nel singolare, facendole crescere di livello in termini assoluti".

La scelta non potrebbe quindi essere consigliata anche ai nostri Fognini e Bolelli?

"In campo maschile, con i match sempre al meglio dei cinque set negli slam, è più difficile gestire le energie e per un tennista c'è sempre la giusta ambizione di puntare sui risultati individuali. Bolelli ha tra l'altro giocato un buon torneo, arrivando davvero vicinissimo agli ottavi; diverso invece il discorso per Fognini, che come già in Francia ha denunciato un calo prima fisico che mentale".

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Paolo Corio