Stadi, i tre motivi per cui il business fa gola

Stadi, i tre motivi per cui il business fa gola

Le sessioni parlamentari, si sa, non sono un ambito dove convenga affannarsi alla ricerca di certezze. Ma calendari d’aula a parte, numerosi indizi portano ormai a ritenere che, per essere approvata, la tanto agognata legge sugli stadi dovrà aspettare la …Leggi tutto

Le sessioni parlamentari, si sa, non sono un ambito dove convenga affannarsi alla ricerca di certezze. Ma calendari d’aula a parte, numerosi indizi portano ormai a ritenere che, per essere approvata, la tanto agognata legge sugli stadi dovrà aspettare la prossima legislatura.

Troppo diverse, in questo momento, le priorità della politica, troppi anche i disegni di legge urgenti da discutere alla commissione Attività produttive del Senato, dove la bozza giace da luglio dopo aver completato un iter lungo più di tre anni alla Camera.

Il pressing dei presidenti (quelli delle due squadre romane su tutti), la discreta attività di lobby da parte dei costruttori e il parere favorevole del ministro Piero Gnudi, che ancora poche settimane fa parlava dei nuovi impianti come un volano capace di generare 800 milioni di investimenti provati, non hanno finora portato a nulla. O, per dirla con uno degli argomenti cari ai detrattori della legge, non sono riusciti a dissolvere l’idea che dietro la norma si potessero nascondere future regalie di Stato per le società, sia sotto forma di finanziamenti a fondo perduto o quasi, sia con l’autorizzazione a concedere velocemente le varianti necessarie e ad ampliare a dismisura i volumi edificabili, le “cubature” così care ai palazzinari.

Tutto accantonato, dunque? Dovremo rassegnarci a vedere lo sport più bello del mondo giocato in impianti tra i più vetusti e tra i più vuoti d’Europa, mentre con la coda dell’occhio ammiriamo e rimpiangiamo “quel mucchio di bei plastici costati un sacco di soldi e rimasti lì” (citazione, azzeccata, del presidente Figc Giancarlo Abete)? Forse no: perchè, a sorpresa, la realtà odierna ci consegna l’istantanea di società tentate dall’opzione di far tutto da sole, o quantomeno avvalendosi di sponde e “aiutini” reperiti sul mercato.

Sono tre i motivi che spingono i presidenti a questo insolito attivismo.

Il primo è puramente economico: un impianto di proprietà, oltre a rafforzare in maniera abbastanza chiara la struttura patrimoniale dei club come richiesto dalle nuove normative europee sul fair play finanziario delle squadre di calcio, dovrebbe portare con sè un aumento degli introiti.

Nella scorsa stagione, infatti, solo il 10% del fatturato dei club italiani di serie A e B è arrivato dal botteghino con un tasso di riempimento degli impianti del 56% e un calo di spettatori del 4,4%. Più in dettaglio, la riduzione dei ricavi da stadio nel 2011-2012 è stata di 22 milioni di euro (253 milioni contro i 275 del campionato precedente). Un dato che non ha corrispettivi nel resto d’Europa, dove per quasi tutti i team l’impianto vale almeno un terzo dei ricavi, oltre a rappresentare lo strumento ideale attraverso il quale realizzare gigantesche economie di scala: niente più affitti da versare ai comuni, tanto per dirne una, e niente più spese accessorie per sede, negozi e campi d’allenamento.

“Da questo punto di vista incremento e diversificazione dei ricavi sono quasi garantiti. Basti pensare che i musei dedicati a Barcellona e Real Madrid, allestiti all’interno dei loro impianti, sono i più visitati di Spagna dopo il Prado” spiega a Panorama.it Diego Tarì, analista finanziario che ha creato il sito tifosobilanciato.it e pubblicato il primo ebook in italiano sulla questione nuovi stadi (scaricabile gratuitamente qui). “Naturalmente, però, esistono delle incognite legate alla sostenibilità del progetto, proprio perché le società italiane faticano a reggere ulteriori indebitamenti”.

Ecco qualche numero: “Costruire ex novo uno stadio da 40 mila posti ha un costo medio di circa 120 milioni di euro” continua Tarì. “Questo, ad esempio, è più o meno l’importo che ha messo a bilancio la Juventus, unica società italiana finora ad avere adottato questo modello. E 120 milioni, considerando che i finanziamenti immobiliari hanno una durata media di 10 anni, significano circa 15 milioni di euro all’anno fra rate del mutuo ed interessi (quello che in gergo finanziario si chiama “servizio del debito”, ndr)”.

A queste condizioni è facile prevedere che qualsiasi incremento dei ricavi verrà agevolmente eroso, se non superato, dalle maggiori spese destinate ad assicurarsi lo stadio. A meno che, come prescrivono tutti i manuali di finanza, la maggior parte dello sforzo economico non venga fatta “in casa”. “I tre stadi spesso citati in Italia come modello, l’Amsterdam Arena dove gioca l’Ajax, l’Emirates di Londra e l’Allianz di Monaco di Baviera, sono stati costruiti ricorrendo a un 70% di capitale proprio” conferma Tarì.

Anche la società bianconera ha fatto lo stesso, finanziando la sua nuova casa con l’operazione immobiliare sul centro commerciale NordConad adiacente all’impianto e e con un contratto di cessione dei naming rights da 7,5 milioni di euro l’anno (peraltro non ancora venduti). Se si aggiungono un fattore di riempimento vicino al 100% e un aumento piuttosto marcato dei prezzi dei biglietti, ecco spiegata la “moderata soddisfazione” che si respira in corso Galileo Ferraris a solo un anno dall’inaugurazione.

Insomma, l’unico azzardo fin qui tentato dimostra che che l’operazione stadi può quadrare anche dal punto di vista economico: ecco servito il secondo motivo del rinnovato interesse dei presidenti italiani verso questo modello.

Il terzo, e non meno importante, è quello che ha a che fare con la controparte: i comuni. Alle prese con budget quasi dimezzati e desiderosi di liberarsi di impianti costosi che non riescono quasi mai a far fruttare durante il resto della settimana, di questi tempi i sindaci delle grandi città farebbero qualsiasi cosa per cedere gli spazi oppure far sloggiare altrove chi li occupa, rendendoli redditizi in altra maniera.

Ecco perché proprio dal pressing delle amministrazioni comunali, dal loro non ostacolare i piani di sviluppo che ormai una dozzina di squadre hanno in cantiere, sta arrivando la spinta decisiva.

Quattro, in particolare, i nuovi progetti che in virtù di questa combinazione di fattori potrebbero decollare già nei prossimi mesi: il nuovo stadio dell’Inter nella prima cerchia periferica di Milano (con acquisto di Sansiro da parte del Milan), quelli – acquistati e ristrutturati sull’esistente – di Bologna e Udinese e quello della Roma, che prevede un investimento di 200 milioni. Nella prossima puntata ci soffermeremo sui dettagli economici e logistici di queste operazioni.

 

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