Hockey su ghiaccio: l'importante è partecipare
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Hockey su ghiaccio: l'importante è partecipare

Il barone de Coubertin però non c'entra: la decisione della Nhl di far andare ai Giochi le sue stelle dipende da un preciso piano di marketing. Da qui al 2022

A Sochi ci saranno anche tante stelle della Nhl, la lega professionistica americana, a contendersi la medaglia d'oro dell'hockey su ghiaccio. Scontato, dite? Non tanto, visto che solo pochi mesi fa i proprietari delle franchigie d'oltreoceano stavano ampiamente discutendo sull'opportunità o meno di fermare il campionato più ricco del pianeta per consentire ai loro atleti la partecipazione ai Giochi invernali 2014.

Cosa li ha convinti al sì? Nessuno spirito olimpico, ma la volontà - seguendo il lungimirante esempio dell'appena ritiratosi commissioner dell'Nba David Stern (clicca qui ) - di sfruttare l'evento per promuovere indirettamente il marchio Nhl e aumentare il loro business andando a caccia di nuovi Paesi. In particolare, proprietari e strateghi di marketing della Nhl guardano con enorme interesse al mercato asiatico, sfruttando Sochi come trampolino per un balzo di popolarità (e relativi introiti commerciali), la cui onda lunga si augurano arrivi in continua crescita alle Olimpiadi di Pyeongchang 2018, in Corea del Sud, e a quelle attese dalla Cina per il 2022.

Curioso al proposito il dato comunicato dallo svizzero René Fasel, presidente della Federazione internazionale dell'hockey su ghiaccio (Iiff), per convincere i suddetti proprietari della necessità di pattinare fuori dai confini americani: "Tenete conto che in Cina", ha affermato il n°1 dell'hockey mondiale nel richiedere il "via libera" per le stelle Nhl, "su una popolazione di un miliardo e 300 milioni abbiamo oggi 500 praticanti, di cui 60 donne". Insomma, il mercato conquistato negli ultimi decenni dall'Nba (che non a caso regalò all'inizio i diritti Tv del basket pro, con la riuscita strategia di raccogliere poi i frutti una volta maturi) è ancora interamente da esplorare - e da sfruttare - da quelli dell'Nhl.

Ma non è tutto: la decisione di sospendere il campionato americano dall'8 al 25 febbraio, cioè da quattro giorni prima a due giorni dopo la conclusione del torneo olimpico, è stata condizionata anche dalla necessità di rilanciare l'hockey su ghiaccio pure nei Paesi in cui è da sempre uno sport nazionale. A partire dal Canada, dove di recente si contano tra i ragazzi più giocatori di calcio che di hockey: cosa del tutto scontata dalle nostre parti, ma non in una nazione dove ciascun bambino riceve in regalo un paio di pattini con le lame a Natale e l'hockey è considerato praticamente una tradizione di famiglia.

Intanto, è certo che queste Olimpiadi avranno nell'immediato una ripercussione diretta sull'hockey professionistico al di qua dell'Oceano: a fine Giochi, infatti, la Bolshoi Arena - l'impianto da 12 mila posti realizzato per ospitare gli incontri tra le Nazionali più forti del mondo - diventerà la casa del Sochi Delphin, team professionistico che entrerà a far parte della ricca e forte Kontinental Hockey League. A capo della franchigia è già stato designato Pavel Bure, ex stella dell'hockey russo prima (con la maglia di Cska Mosca e Spartak Mosca) e di quello dell'Nhl poi (Vancouver Canucks, Florida Panthers e New York Rangers), che ha già ricevuto il preciso mandato di costruire un club vincente. Perché partecipare è ancora importante solo alle Olimpiadi. E spesso solo per soldi.

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Paolo Corio