Grande pubblico a Monza per il rally, ma...
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Grande pubblico a Monza per il rally, ma...

55 mila spettatori hanno assistito alla gara-spettacolo di una disciplina che in Italia è però in crisi. Come spiega il due volte iridato Biasion

La tre giorni del Monza Rally Show ha prodotto numeri da primato in termini di spettatori paganti (il bilancio finale dice 55mila persone). Da Valentino Rossi a Tony Cairoli, da Lewis Hamilton a Robert Kubica: i protagonisti dei motori a due e quattro ruote hanno fatto tappa in Brianza per dare spettacolo in gare tiratissime e appassionanti. E' il segno di un rinnovato interesse del pubblico italiano nei confronti del rally?
"Credo che le cose stiano diversamente - spiega Miki Biasion, due volte campione del mondo negli anni Ottanta al volante della Lancia Delta integrale - Forse la gente, non avendo più la possibilità di vedere in Italia grandi campioni del volante, sceglie di andare a manifestazioni come questa per seguirli da vicino e in un'unica occasione. E poi, il rally di Monza non è un vero e proprio rally, è più uno spettacolo. L'attrazione la fanno i campioni che vi prendono parte, il rally, quello vero, è un'altra cosa".

Lei ha mai preso parte al Rally di Monza?
"Vi ho partecipato l'anno scorso con le vetture storiche. E c'ero stato anche negli anni Novanta, ma per un'esibizione e nulla più. Non l'ho mai affrontato in modo competitivo perché quando correvo sul serio nelle pochissime pause della stagione preferivo passare un weekend a casa con la mia famiglia che rimettermi in pista".

Come è cambiato questo sport dagli anni Ottanta a oggi?
"E' cambiata la lunghezza dei percorsi: anni fa le gare duravano molto di più. Ai miei tempi, poi, era necessaria una maggiore preparazione atletica, c'era più strategia e al contrario di oggi si guidava spesso di notte. Tuttavia, ieri come oggi i piloti danno sempre il massimo per vincere".

L'ultimo italiano a salire sul gradino più alto del podio del campionato mondiale è stato lei nel 1989. Come lo spiega?
"Quando correvo io, il sogno nel cassetto di molti ragazzi italiani era diventare pilota ufficiale delle squadre del Gruppo Fiat. Oggi nessuna casa automobilistica italiana è coinvolta a pieno titolo nel mondo dei rally. E tanti genitori investono meno sul futuro in questo sport dei loro figli perché sanno che difficilmente le case straniere offrono un volante a un pilota di nazionalità diversa dalla loro. E' difficilissimo emergere e molti rinunciano prima ancora di cominciare. Peccato perché la passione e il talento, ne sono convinto, ci sono sempre".

Se l'Italia piange, la Francia ride. Dal 2004 al 2014 è stato un dominio assoluto dei piloti francesi nel mondiale di rally. Prima la leggenda Sebastian Loeb (9 titoli iridati di fila), poi il suo amico Sebastian Ogier, che ha vinto le ultime due edizioni. Tutta questione di sponsor?
"Certo, le case automobilistiche francesi, mi riferisco a Citroën, Peugeot e Renault, partecipano assiduamente al campionato del mondo. E hanno dimostrato con i fatti che se hanno piloti validi all'interno dei confini nazionali, difficilmente scelgono gli stranieri. Il fenomeno Loeb ha sconvolto tutte le logiche del mondo dei rally con tutte le gare e i mondiali che ha vinto. Fa storia a sé. E ha consentito alla Francia di attingere a un bacino di giovani piloti molto più ampio che in passato, per la stessa ragione che portò numerosi ragazzi italiani ad approfondire le conoscenze sulla vela dopo aver seguito le imprese di Luna Rossa. Chi vince, crea vincitori".

Si dice più o meno da sempre: "il rally è uno sport pericoloso, per chi lo pratica e per chi lo segue vicino alla pista". Possiamo dire che qualcosa è cambiato?
"Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante per migliorare la sicurezza all'interno e all'esterno dell'abitacolo. Per ragioni evidenti, le gare più brevi sono anche più controllabili. E il pubblico può seguire la corsa in aree molto meno pericolose rispetto al passato. In più, le macchine sono meno potenti di un tempo. Negli anni Ottanta noi correvamo con i famosi 'Gruppi B' che avevano una potenza ben più alta dei motori di oggi. Ciò detto, nei circuiti ci sono le vie di fuga e i guard rail che nelle strade di montagna non ci sono: un margine più o meno grande di incertezza ci sarà sempre in uno sport come questo".

Prenderà parte alla prossima edizione del Dakar? Sarebbe l'undicesima...
"No, credo che questa volta non parteciperò, gli anni passano anche per me. E purtroppo non penso che ci saranno squadre italiane al via. Ecco, potessi scegliere sarei felice di mettere a disposizione la mia competenza e la mia esperienza al servizio dei piloti che proveranno questa esperienza ricca di insidie e di fascino. Quando si ha una certa età, giusto fare le cose che riescono meglio".

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Dario Pelizzari