Quanto e’ alta l’asticella di Conte?

Quanto e’ alta l’asticella di Conte?

Lo ammettiamo. Anche a noi è andato di traverso lo spumante ascoltando il famoso discorso di Conte del 5 maggio. Insomma una cosa è pretendere garanzie per il futuro, altra cosa è farlo in modo così sfacciato, davanti alle …Leggi tutto

Credits: ANSA

Lo ammettiamo. Anche a noi è andato di traverso lo spumante ascoltando il famoso discorso di Conte del 5 maggio. Insomma una cosa è pretendere garanzie per il futuro, altra cosa è farlo in modo così sfacciato, davanti alle telecamere, per di più alla vigilia della conquista di uno scudetto.

Ma col passare dei giorni cominciamo a pensare che quello di Conte non sia stato il classico scivolone, che non sia stato solo un discorso fatto da parole giusta dette al momento e nel posto sbagliato. No. Antonio Conte sarà pure impulsivo, lo era in campo e lo è anche da allenatore, e non è mai stato uno portato a dare troppo peso alle parole. Ma questa volta l’impressione è che l’uscita sia stata ampiamente premeditata. L’impressione è che abbia voluto comunicare a tutti – società, tifosi e media – qualcosa che ha dentro da tempo, probabilmente da prima del quarto di finale perso con il Bayern.

L’ego ha il suo peso. Antonio Conte vuole diventare il più grande di tutti. Più grande di Lippi, di Trapattoni, Capello. Antonio Conte non vuole limitarsi ad aprire un ciclo, non vuole vincere qualche scudetto e provare a giocarsi le sue carte in Europa. Antonio Conte vuole portare la Juve al livello delle grandissime di tutti i tempi, il Milan di Sacchi, il Barcellona di Guardiola. Antonio Conte è un megalomane? Può darsi. Ma cosa avremmo pensato se due anni fa, dopo il settimo posto della Juve targata Del Neri, ci avessero detto che sulla panchina della Juve sarebbe arrivato qualcuno pronto a vincere subito almeno due campionati di fila?

Conte sa – o perlomeno crede – di potercela fare. Ma sa che per arrivare per arrivare a certi livelli ha bisogno di un cambio di mentalità, da parte di tutti, società in primis. Perché la Juve – non solo quella di oggi – ha sempre avuto una certa tendenza a cullarsi sugli allori conquistati in campo nazionale. Finendo spesso per presentarsi in Europa con la spocchia tipica di chi non ha nulla da dimostrare. In fondo 31 scudetti sono quasi il doppio dei titoli conquistati dalla più diretta avversaria. Se questo non è pedigree…

Ecco, Antonio Conte sa bene che vincere lo scudetto in Italia non è di per sé sinonimo di grandeur europea. Non lo è stato in passato non lo è tanto meno oggi che il campionato italiano è al livello di quello portoghese. Per fare la storia ci vuole altro. Ci vuole l’idea, l’ambizione, la volontà di partire con un progetto nuovo – certo senza rinnegare le fondamenta che hanno portato agli ultimi due titoli nazionali – ma con uno spirito e soprattutto giocatori diversi.

La Juve è al bivio insomma, e Conte ha bisogno di capire da che parte si vuole andare. Poi si potrà discutere su tutto il resto, sul fatto che i soldi non fanno la felicità, che i Pogba, i Pirlo, i Barzagli e gli altri acquisti low cost non hanno nulla da invidiare a certi millantati campioni pagati a peso d’oro, che Antonio Conte in fondo resta un dipendente stipendiato dalla società Juventus e che le decisioni, fino a prova contraria, le prende Andrea Agnelli.

Ma la sostanza non cambia: la Juve deve decidere cosa vuole fare da grande. Se puntare alla quarta stella o salire sul tetto del mondo.

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