Paralimpiadi, dietro le medaglie il niente
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Paralimpiadi, dietro le medaglie il niente

Bilancio positivo a Londra, ma restano i problemi di sempre. Lo sport per disabili è un business ovunque tranne che da noi. Lavoro, scuola e società: l'Italia rimane in serie B

Ci hanno commosso e appassionato, fatto emozionare e talvolta anche  conquistato con imprese al limite dell'incredibile. Adesso, però, è  tempo di tornare alla realtà che per milioni di disabili italiani significa vedersi spegnere la ribalta della televisione e tornare in un anonimato fatto di difficoltà logistiche, lotte per affermare i propri diritti e, in generale, di confronto con un Paese che molti vivono come una giungla.

Benvenuti nell'Italia che, spento il braciere della Paralimpiade, si lustra con orgoglio le 28 medaglie conquistate: lo stesso numero delle Olimpiadi per atleti abili e 10 in più rispetto alla spedizione di Pechino di quattro anni fa. Bilancio positivo, insomma, se non fosse che  purtroppo è un po' come la vetrina tirata a lucido di un negozio con  dietro nulla. O quasi.

Sul valore tecnico delle Paralimpiadi hanno detto e scritto gli esperti. Col passare degli anni sta  diventando un appuntamento sempre più importante anche dal punto di  vista agonistico. I nostri ori sono, dunque, ori veri ed è bello pensare  che, a differenza di quanto avvenuto nel medagliere principale dove ci  eravamo fatti valere solo in discipline di nicchia, gli atleti  paralimpici italiani abbiano raccolto anche negli sport principali: atletica (2 ori, 3 argenti e un bronzo), nuoto (2 ori e 5 bronzi), ciclismo (4 ori, 3 argenti e 3 bronzi) oltre alle solite scherma e arco.

Il gap con le prestazioni degli atleti normodotati si sta riducendo (anche se non potrà mai essere fisiologicamente colmato) e Pistorius non è più un caso isolato. Anche tv e giornali se ne sono accorti  smettendo di trattare i protagonisti di queste discipline come casi  umani da gettare in pasto al pubblico. Le loro storie restano belle e  spesso drammatiche, ma sempre più vengono percepiti come atleti e basta.

Dietro, però, c'è tutto il resto e per i disabili italiani è una realtà dura da accettare. Il medagliere dice che il nostro sport paralimpico è il 13° al mondo per valore dietro alle solite superpotenze, perché la  fotografia dell'attività per diversamente abili è molto simile a quella  di chi si misura nel mondo dei 'normali'. Domina chi ha più soldi da  investire: Cina, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti che occupavano anche le prime quattro posizioni del medagliere di Londra 2012.

L'Italia si difende e ha ragione di essere orgogliosa del suo risultato ma Luca Pancalli, presidente del comitato italiano paralimpico, non sbaglia quando denuncia che "i risultati ottenuti non sono
proporzionali all’attenzione che in Italia si pone ai problemi della disabilità". La verità cruda è che il nostro resta un Paese estraneo per i disabili,  un posto dove solo il 18,4% di loro ha occupazione contro il 62,5% del  resto della popolazione, due scuole su tre non hanno servizi igienici e  porte a norma e solo il 20% è dotata di ascensori, solo l'11% dei  disabili va almeno una volta all'anno al cinema (48,9% dei 'normali' lo  fanno), cioé fruisce di quello che è il maggior strumento di svago.

La fotografia dell'Istat risale al 2005 perché oltre non esiste nemmeno un censimento. Lo sport?  In mano alle associazioni di volontariato e con strutture fatiscenti  anche se questo è un problema condiviso con tutti gli altri considerata  la situazione dell'impiantistica sportiva in Italia soprattutto al Sud. I  disabili che oggi ci riempono d'orgoglio in Italia si devono misurare  con una forma strisciante di esclusione sociale. Escono  poco di casa, fruiscono di eventi sportivi e culturali mediamente il  70% in meno del resto della popolazione. Hanno contatti e amicizie  confinati nel loro mondo.

Questa è l'Italia che riaccoglie Alex Zanardi, Annalisa Minetti, Assunta Legnante, Cecilia Camellini e tutti gli altri eroi di Londra. Ma dirlo a loro è inutile: sono  disabili e conoscono bene qual è la situazione seppure dall'osservatorio  privilegiato di chi fa sport ad altissimo livello. Meglio spiegarlo  agli altri. A chi si è commosso ed esaltato e adesso, spento il braciere  dello stadio olimpico, è pronto a ricominciare a girarsi dall'altra  parte. Fino a Rio de Janeiro, estate 2016. Quando torneremo a contare  medaglie e vittorie

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Giovanni Capuano