Olimpiadi 2012: the day after
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Olimpiadi 2012: the day after

Villaggio deserto, silenzio, pulizia ed ordine. Com'è triste oggi Londra, finita la festa

Il giorno dopo la fine dei Giochi di Londra 2012 intorno allo stadio olimpico c’è un’atmosfera quasi ovattata. L’energia e la calca, i colori e il rumore hanno lasciato il posto al vuoto (degli spazi) e al silenzio.

La cartolina di questo lunedì di metà agosto è resa ancora più grigia dall’arrivo della pioggia. Il cinemascope ha lasciato il posto alla pellicola in bianco e nero. Per rendersene conto basta fare un salto nella periferia est di Londra, dove sorge la maggior parte degli impianti sportivi utilizzati nelle due ultime settimane per le gare. Per accedere al parco olimpico vero e proprio restano aperti solo pochissimi ingressi. I volontari e i soldati ai check-in sono più distratti e meno sorridenti dei giorni scorsi, quando anche i bobby mimavano, per strappare un sorriso ai turisti, il gesto di Usain Bolt dopo le vittorie.

Oggi, dove sino a poche ore fa vibrava l’entusiasmo di centinaia di migliaia di curiosi e appassionati, di quella festa colorata non resta che il ricordo. Del «più grande party del mondo», incredibilmente, non vi è traccia neppure nei bidoni dell’immondizia, perfettamente ripuliti, come le strade. Non un chewingum o una cartaccia lorda le vie del parco. Viene il magone a pensare ai day after delle nostre piazze dopo qualche grande evento.

Anche la sala del Main press center, il parallelepipedo che ha ospitato durante i Giochi i giornalisti di tutto il mondo, oggi è silenziosa. I cronisti superstiti chiacchierano quasi sottovoce e sugli schermi televisivi scorrono ad audio spento (ma con i sottotitoli) le parole del sindaco di Londra Boris Johnson alla conferenza stampa di fine Olimpiade. Qualcuno fischietta il motivo di Hey Jude dei Beatles.

Nuvoloni neri si addensano sopra il parco olimpico dopo giorni di sole caldissimo. Il negozio dei gadget fa gli ultimi affari, sebbene i prezzi restino quelli di inizio Giochi: oltre trenta euro per una t-shirt, 15 per l’orribile pupazzetto simbolo di Londra 2012. In alternativa medaglie commemorative, spillette o cartoline. Viene malinconia.

Al bar i biscotti dolcissimi e dagli aromi improbabili sono ancora quasi tutti nell’espositore. La maggior parte delle confezioni di sushi. Chi vuole bere, come sempre deve scegliere tra le bibite che hanno sponsorizzato l’Olimpiade e pagare con la carta di credito che ha investito nei Giochi. Chi ne possiede un’altra deve sborsare denaro contante.

Alla reception i giornalisti si salutano e si scambiano email e cellulari. È ora di tornare a casa anche per loro. In attesa del prossimo grande evento.
Intorno a loro gli operai stanno già smontando i prefabbricati che sono serviti per ospitare ristoranti e attrazioni. Il resto, dal villaggio olimpico agli stadi, torneranno presto a popolarsi, diventeranno quartieri della nuova Londra post olimpica. Nel Villaggio, dopo le Paralimpiadi, le strutture olimpiche verranno riconvertire in abitazioni, scuole, ospedali, agli atleti subentreranno famiglie, studenti e malati. Per esempio la palestra in cui si allenavano le stelle dello sport a cinque cerchi, diventerà presto un teatrino per le recite scolastiche dei ragazzini. È questa la nuova East London che sorge dalle braci delle ultime Olimpiadi. La periferia difficile, dove l’anno scorso infuriavano le rivolte di studenti e disoccupati, dovrebbe diventare una zona più vivibile e sicura. O almeno questa è la speranza dei politici. Che per raggiungere l’obiettivo hanno fatto realizzare a pochi metri dal parco di un gigantesco centro commerciale, pieno di famiglie con bambini.

Qui la vita è già ripresa come se nulla fosse, lo shopping è tornato lo svago più comune. Ma tra la gente qualcosa rimane di quello che i commentatori hanno definito un nuovo patriottismo: le magliette del «Team Gb» con il leone e i colori dell’Union jack, ricordano ai turisti l’orgoglio di un popolo per il successo della loro città e dei loro campioni.

Ma questo non è il solo motivo di orgoglio. Per gli inglesi questo è stato «il più grande evento sportivo e culturale della storia della Gran Bretagna» e ora, dopo che gli atleti se sono andati, bisognera costruire «sulla positiva immagine del Paese che ha fatto il giro del mondo e bisognerà fare il massimo per convincere i 4,8 milioni di turisti in più che sono arrivati per i Giochi a scegliere la Gran Bretagna per le vacanze». Una programmazione a lungo termine che dovrebbe fare fischiare le orecchie ai governanti del nostro Paese, il quale dal 1970 (quando l’Italia era la nazione che attirava più turisti al mondo) a oggi ha dissipato un patrimonio unico di bellezze naturali e artistiche. Perdendo clamorosamente scommesse come quelle dei mondiali di calcio del 1990.

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Giacomo Amadori

(Genova, 1970). Ex inviato di Panorama e di Libero. Cerca di studiare i potenti da vicino, senza essere riconosciuto, perciò non ama apparire, neppure in questa foto. Coordina la sezione investigativa dellaVerità. Nel team, i cronisti Fabio Amendolara, Antonio Amorosi e Alessia Pedrielli, l'esperto informaticoGianluca Preite, il fotoreporter Niccolò Celesti. Ha vinto i premi giornalistici Città di Milano, Saint Vincent,Guido Vergani cronista dell'anno e Livatino-Saetta.

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