Il basket di Armani non va di moda
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Il basket di Armani non va di moda

Eliminata nei quarti playoff da Siena, l'EA7 non riesce ancora una volta a vincere. Cronaca di una stagione fallimentare, e di quelle che l'hanno preceduta...

A pochi secondi dalla palla a due della decisiva gara 7 tra Milano e Siena, i tabelloni del Forum si trasformano in megaschermi per diffondere l'audio del discorso di Aragorn prima dell'altrettanto decisiva battaglia de "Il signore degli anelli" mentre scorrono i volti dei giocatori dell'Olimpia; contemporaneamente, il manipolo di tifosi toscani (una goccia verde nel biancorosso del palazzo) fa partire l'antico canto della "Verbena" per incoraggiare i suoi guerrieri nella difesa di uno scudetto che da 6 anni non si tolgono dalla maglia. Tecnologia contro tradizione, Milano contro Siena.

L'armata metropolitana di re Giorgio (Armani) che va all'attacco del borgo ormai sotto assedio, anche e soprattutto per le note vicende finanziare legate allo sponsor Montepaschi. Ma l'assalto dell'EA7 al trono del basket italiano va ancora una volta a vuoto: trascinati dall'attacco di Daniel Hackett (25 punti in 36' sul parquet) e dalla difesa di David Moss (sempre basso sulle gambe di fronte al play tascabile Marques Green per oscurarne con il fisico tutti i passaggi), i campioni in carica vincono per 90-80 e passano alle semifinali, dove li attende la regina di regular-season Varese. Alla fine, mentre i toscani festeggiano l'ennesima impresa, Giorgio Armani attende i suoi a bordo campo per stringere loro la mano: gli occhiali scuri non nascondono però un umore della stessa tinta. Del tutto motivato...

Il fallimento 2012-2013.

A inizio Campionato Milano è la grande favorita, quasi la predestinata al titolo, per ricchezza (anche negli ingaggi) del roster. Una squadra costruita a suon di milioni di euro (almeno 15, ma alcuni si spingono a supporne 20) secondo i desiderata di coach Sergio Scariolo, che però appare subito in difficoltà (e lo sarà fino alla fine) nell'organizzarne il gioco. Dopo il mancato approdo nella Top 16 Eurolega (prima voce del fallimentare bilancio stagionale) arriva lo scorso dicembre il taglio del play Omar Cook, sostituito nell'immediato con il ritorno di J.R. Bremer e a gennaio con l'arrivo di Marques Green. Viene esonerato anche il vice di Scariolo, Fabrizio Frates, in una sorta di "giallo" la cui trama non viene mai ben chiarita dalla società... Tra tante difficoltà e qualche veleno, la situazione migliora ma non troppo: l'EA7 si qualifica infatti per le Final Eight di Coppa Italia in programma a febbraio proprio a Milano, ma viene eliminata nei quarti da una Varese sì capolista ma in piena emergenza infortuni (seconda voce del fallimentare bilancio stagionale). Scariolo e la società predicano però calma e ricordano che il vero obiettivo è un altro... quello appena messo alla terza voce del fallimentare bilancio stagionale. Dopo l'eliminazione, l'allenatore ammette di non aver centrato nessuno degli obiettivi preposti e si assume tutte le responsabilità per "non essere mai riuscito a far raggiungere alla squadra la durezza e l'efficienza difensiva necessarie per vincere partite come questa". I problemi stanno però anche altrove, a partire da scelte e rotazioni che lasciano da tempo perplessi tifosi e addetti ai lavori. Ad esempio: perché, in una squadra con evidenti problemi di regia, un play comunque di rango come Jacopo Giacchetti è stato sistematicamente lasciato in fondo alla panchina? Perché non si è mai cercato di organizzare il gioco per consentire un'efficace convivenza offensiva di Hairston e Langford? Perché pretendere a tutti i costi a gennaio il rientro dal prestito in Lituania di Radosevic (con annessa querelle economica con il Lietuvos Rytas) per poi tesserare giusto prima dell'inizio dei playoff Mensah-Bonsu e preferirlo al croato sotto i tabelloni? Perché non dare subito a Melli i minuti necessari a formare una fiducia che il ventiduenne da Reggio Emilia ha ora in misura inversamente proporzionale al talento? Oltre alle questioni tecniche, ci sono poi quelle legate a una gestione societaria in cui pare proprio mancare una figura esperta nelle cose del basket.

I flop precedenti.

Che Siena sia la bestia nera di Milano e del suo patron è sicuro: dopo il 3-0 sull'Olimpia nella semifinale del 2008 (quando Armani era però solo sponsor, diventerà proprietario l'estate successiva), conta due netti 4-0 nelle finali 2009 e 2010, più un altrettanto deciso 4-1 in quella del 2012. Nel 2011 è invece Cantù a eliminare per 3-1 i milanesi in semifinale, al termine di una stagione ancora una volta all'insegna degli investimenti ma anche delle difficoltà, con coach Piero Bucchi sostituito dalla mitica figura di Dan Peterson: mossa utile più per nascondere alcuni errori societari che per migliorare i risultati. Nessuna soddisfazione per i tifosi dell'Armani nemmeno in Coppa Italia (cocente l'eliminazione nel 2012 in semifinale contro... Siena, mal digerite anche quelle del 2011 e 2010 contro Avellino) così come in Eurolega, dove l'Olimpia non è mai arrivata ai playoff nelle sue ultime partecipazioni.

Le cifre in rosso (più una fatidica domanda)

Quanto ha speso Giorgio Armani per riportare a Milano quello scudetto che manca dal lontano 1996 (e allora griffato Stefanel)? Nel marzo 2011, nel mezzo dell'ennesimo momento difficile, in diversi confronti con la stampa il presidente Livio Proli parlò di 27 milioni investiti nei primi tre anni (cioè dalla stagione 2008-2009 a quella allora in corso) e di altri 45 milioni previsti come budget per il triennio successivo. Il totale farebbe quindi 72 milioni includendo il prossimo campionato, ma – tra ingaggi da top player come quello di Langford e continue integrazioni al roster - è assolutamente palusibile che il conto si aggiri già intorno ai 90 milioni. Una cifra che non fa certo tremare i polsi al proprietario dell'Olimpia, la cui casa di moda è in continua crescita di fatturato e utili anche in tempi come questi. La domanda però è un'altra: per quanto tempo Giorgio Armani, diventato "re" in un mondo in cui l'immagine vincente è tutto, accetterà di indossare i panni del perdente? Il rischio è infatti che, malgrado la passione dimostrata più volte per il basket, i continui fallimenti lo allontanino una volta per tutte dal parquet. E allorà sì che per l'Olimpia sarebbero guai grossi...

Si ringrazia per le immagini il sito dailybasket.it .

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Paolo Corio