La Nfl e il caso del touch-down musulmano
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La Nfl e il caso del touch-down musulmano

Husain Abdullah festeggia pregando: gli arbitri lo sanzionano, ma sono subito sconfessati dai vertici del football americano (già nella bufera per le violenze domestiche di due star)

E' vero che quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Ma la Nfl, la ricchissima lega del football americano, rischiava davvero di essere travolta dal "politicamente scorretto": dopo lo scandalo sulle violenze domestiche fatto esplodere dal video della star Ray Rice che prende a pugni la fidanzata nell'ascensore di un hotel di Atlantic City e acuito dall'incriminazione dell'altra stella Adrian Peterson per aver picchiato con un ramo il figlio di quattro anni, ecco arrivare come il peggiore dei placcaggi l'accusa di discrimazione religiosa.

Teatro del nuovo "caso" politico e mediatico è risultato questa volta lo stadio di Kansas City, dove i Chiefs affrontavano nel Monday Night i New England Patriots: dopo aver realizzato un touch-down, il giocatore dei padroni di casa Husain Abdullah ha festeggiato genuflettendosi a terra in preghiera secondo il rituale della sua fede musulmana. Nemmeno il tempo di rialzarsi, che gli arbitri lo hanno sanzionato con un "flag" in base alla regola n°12 della Nfl, quella che stabilisce: "i giocatori non possono dare vita a celebrazioni o manifestazioni sul terreno di gioco".

Norma presa alla lettera dai solerti fischietti, ma che mal si concilia con l'attuale momento politico, peggio ancora se applicata sul campo di una lega alle prese con sostanziali problemi d'immagine... Così senza che passassero ventiquattr'ore è arrivata puntuale come un lancio del miglior quarterback la rettifica dei vertici della Nfl per bocca del portavoce Michael Signora: "La procedura non prevede di sanzionare un giocatore che si inginocchia per un atto religioso, quindi non doveva esserci alcuna penalità".

Curiosamente, un altro sport di matrice americana è andato di recente incontro a una disavventura del genere: ci riferiamo al divieto a scendere in campo con lo hjiab imposto alle ragazze del Qatar durante i recenti Mondiali femminili di basket a dispetto di une recente regola della Fiba - la Federazione internazionale della pallacanestro - che autorizzava invece i copricapi religiosi sul parquet (leggete qui).

Husain Abdullah ha però subito voluto gettare acqua sul fuoco, sostenendo di aver ritenuto il "flag" conseguenza della sua scivolata poco ortodossa nella end-zone (l'area di meta del football americano) e non della sua successiva preghiera a terra. Tutto risolto, quindi. Ma chissà cos'hanno pensato del pronto disimpegno i grandissimi della boxe e del basket Nba Muhammad Ali e Kareem Abdul-Jabbar, due che in passato hanno dovuto lottare non poco per far rispettare negli States la loro scelta di convertirsi all'Islam...

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Paolo Corio