L'infortunio a Rose: sfortuna, ma non solo
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L'infortunio a Rose: sfortuna, ma non solo

Al rientro nell'Nba l'asso dei Bulls saltava quasi 13 cm più di prima. E forse proprio da lì sono arrivati i nuovi guai, come spiega una terapista "fuori dal coro"

Come se la mano del destino avesse pigiato il tasto "rewind" dello spot con cui lo sponsor tecnico annunciava il ritorno di Derrick Rose sui parquet dell'Nba: fosche nubi si addensano di nuovo su Chicago, mentre - sospinti dalle immancabili folate della "windy city" - i giornali rotolano sul marciapiede riportando la notizia dell'infortunio al ginocchio. Non più il sinistro, però, ma il destro; e non più il legamento crociato anteriore ma il menisco mediale. In ogni caso, un altro ko che costringerà i Bulls senza Rose per tutta la stagione. E dire che solo lo scorso ottobre, durante la pre-season che ne sanciva il rientro, lo stesso Derrick Rose aveva dichiarato di essere diventato più esplosivo di prima, raccontando come i test in allenamento avessero certificato che aveva aumentato di ben 5 pollici (12,7 cm) la sua capacità di elevazione. Una sfortuna nera, insomma. O forse non è stata solo sfortuna... 

Proprio l'eccessivo potenziamento muscolare è infatti spesso causa di infortuni negli atleti, come denuncia la dottoressa Laura Bertelè nel suo recente libro "Basta saper vedere", in cui lancia appunto l'allarme sui rischi di un esasperato lavoro atletico: "Il problema", afferma la specialista in terapia fisica e della riabilitazione, "è che viene fatto un eccessivo potenziamento di tutti i muscoli posteriori, tanto dei dorsali della colonna vertebrale quanto dei flessori del ginocchio e di quelli plantari, che danno appunto la spinta per saltare. Così facendo, poiché per questioni di fisiologia meccanica la tibia si trova a ruotare verso l'esterno e il femore verso l'interno, si genera però una condizione innaturale per cui l'articolazione lavora fuori asse e vengono sollecitati in maniera anomala sia il crociato anteriore sia il menisco mediale anche solo per una normale flessione".

Quello che a suo avviso è accaduto anche a Derrick Rose?

"Il discorso dei 5 pollici in più nei test di salto verticale certifica il fatto che si sia puntato a un enorme potenziamento muscolare e le immagini di youtube, con l'infortunio dopo un movimento per nulla complicato, parlano da sole: in seguito al potenziamento disequilibrato, durante il semplice affondo c'è un sovraccarico sul menisco mediale e sul crociato anteriore potentissimo, con il quadricipite che - per quanto potente - non tiene perché è potente ma non è al contempo lungo e soprattutto in asse. Dico sempre che i muscoli sono i veri legamenti delle articolazioni, ma non solo per la loro forza: tra l'altro, se sono troppo poco elastici, finiscono a loro volta per andare facilmente incontro a lesioni di vario livello, anche e soprattutto  perché - dopo un potenziamento non mirato - vengono come frenati dai loro antagonisti eccessivamente forti. Discorso questo che vale in particolare per il quadricipite, spesso causa di stop per tanti atleti, a partire dai calciatori".

I continui infortuni dei campioni certificano il fatto che ci sia un problema alla base: perché allora non si cambia l'approccio o almeno non si provano nuove strade?

"Rispondo con un aneddoto: ormai diversi anni fa ero stata chiamata come consulente da Chicco Cotelli, responsabile della tecnica sciistica e della preparazione atletica dell'allora "valanga azzurra", perché si erano resi conto che si verificavano lesioni del crociato anteriore anche senza caduta. La ricerca da me condotta evidenziò come il problema fosse appunto conseguenza di un potenziamento sbagliato che portava a un'innaturale rotazione, per cui erano sufficienti i continui piegamenti tipici dello sci - aggravati dalla rigidità data dallo scarpone - a far rompere il legamento. I risultati furono anche presentati da Cotelli a un convegno di medicina dello sport, ma lei pensa che poi sia cambiato qualcosa? Nel libro riporto anche l'esempio di Ronaldo, al quale dopo il primo infortunio avevano potenziato eccessivamente i muscoli gemelli, con una conseguente innaturale rotazione della tibia... e il successivo ko. Io ormai mi sono rassegnata, anche per le cose che vedo nella mia pratica medica quotidiana, e non solo sugli atleti".

Lei ha ideato un metodo che porta il suo nome (metodo Bertelè ) e che punta a riequilibrare la muscolatura: in termini generali, quali dovrebbero essere le linee-guida da seguire?

"Partendo dal presupposto che ogni sport, specie se fatto a livello intenso come nel caso degli agonisti, comporta inevitabilmente l'accorciamento dei gruppi muscolari che si usano di più, non bisogna puntare a potenziarli ulteriormente ma ad allungarli con un lavoro mirato, che riguardi tutto il corpo e non i singoli segmenti. L'intuizione della nota fisioterapista francese Françoise Mézières, di cui ho avuto la fortuna di essere allieva, è che se si tira da una parte, c'è una compensazione dall'altra, quindi occorre uno stretching globale e guidato. Che tra l'altro deve essere impostato non solo in base allo sport praticato, ma anche a seconda del fisico di ciascun atleta". 

Greg Oden, altro fenomeno dell'Nba messo subito fuori gioco dalle sue ginocchia, sta ora ritrovando la forma con il metodo Pilates...

"Gli auguro le migliori fortune, ma ci tengo a sottolineare che il Pilates non è - come alcuni invece pensano - un metodo terapeutico, ma rappresenta invece un lavoro di grande potenziamento. Sono amica di diversi ballerini della Scala di Milano e, parlandone, mi hanno confermato che lo considerano un allenamento duro, di grande intensità. E stiamo parlando di corpi più che in forma, oltre che fortemente elastici".

Un'ultima domanda: salvo inversioni di tendenza, occorre dunque pensare a un nuovo tipo di atleta, tanto potente quanto destinato a una carriera assai meno lunga che in passato?

"Assolutamente sì, a meno che appunto qualcuno non inizi a seguire nuove metodologie. Non lo dico io, ma la cronaca degli ultimi anni, che racconta di sempre più atleti con lesioni importanti quando sono ancora nel pieno della carriera. Senza contare quelli di cui non veniamo a conoscenza perché costretti a fermarsi ancora prima: i guai, come spiego nel mio ultimo libro, insorgono infatti anche già a livello giovanile, senza che nessuno abbia gli occhi giusti per vederli in tempo". 

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Paolo Corio