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JORGE GUERRERO/AFP
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Rossi come Totti e Buffon: i campioni non invecchiano mai

A Jerez, successo numero 113 in carriera per il 37enne pilota pesarese . Quando le motivazioni sono forti, è il cuore che comanda

Da Brno 1996 a Jerez 2016. Vent'anni o poco meno di vittorie che hanno stravolto i confini del motomondiale. Valentino Rossi ha strappato in terra di Spagna il suo trionfo numero 113, il 74° da quando corre nella MotoGp, l'ottavo da quando ha deciso di tornare grande con i colori della Yamaha. E' salito per la prima volta sul gradino più alto del podio al giro di boa delle 17 primavere e domenica, raggiunta e superata quota 37, ha risposto con i fatti a chi considera poco saggia la strategia della casa giapponese di Iwata, che ha deciso di investire altri due anni sul pilota pesarese senza badare alla prevedibile contromossa del campione mondiale in carica, quel Jorge Lorenzo, anni 29, che a fine stagione cambierà aria (leggi Ducati) per vincere dove il suo attuale compagno di squadra non ha mai vinto. Come se la Roma decidesse di agevolare l'approdo di Luciano Spalletti al timone della Nazionale pur di salvaguardare e tutelare l'ultimo giro di valzer di Francesco Totti da giocatore vero. Questione di cuore, certo, ma anche e soprattutto di risultati.

E di risultati da applausi a scena aperta, Valentino da Urbino, ne ha raccolti tantissimi, ieri come oggi. Vedere per credere come sono andate le cose negli ultimi venti mesi. Da Indianapolis 2014 a Silverstone 2015: 21 podi in 22 gare, con tante dannazioni al capitombolo di Alcañiz, nel settembre di due anni fa, che l'ha costretto alla resa dopo appena tre giri. Un filotto straordinario, meraviglioso per intensità e contenuti, appena intaccato dalla delusione infinita per quel titolo mondiale lasciato per strada a un tiro di schioppo dal traguardo e fatto suo, con modi e ragioni che soltanto il tempo chiarirà, da Lorenzo il conquistatore, abile a sfruttare le pieghe del regolamento, teorico dell'alleanza a gettone mordi e fuggi. Rossi ha trasformato il dolore profondissimo per una sconfitta immeritata in un afflato di rivalsa potente e generoso come il suo talento. A 35 anni ha rivoluzionato il suo approccio alla corsa, cambiando stile di guida e di vita. A 36 anni ha accarezzato per mesi il pensiero stupendo di guardare tutti dall'alto per la decima volta in carriera. E a 37 ha chiamato a raccolta gli dei della moto per accompagnarlo nella sua ultima traversata, la più importante, quella che vale un posto nel mito. 

Ha ragione Silvano Galbusera, il capotecnico che il Dottore ha ripreso con sé nel 2015 per raggiungere il titolo numero dieci: "Rispetto a un anno fa Valentino è più concentrato e motivato, semplicemente migliore". Sì, proprio così, il pilota che fa sognare l'Italia da quattro lustri continua a sorprenderci e a sorprendersi con un passo da marziano. Non soltanto mantiene, conserva e riproduce le capacità che l'hanno fatto grande. Di più, rilancia, migliorando il migliorabile e affinando, se ancora possibile, la gestione della gara e i turni di prova che la precedono. A Jerez ha stracciato la consuetudine, mettendo insieme pole position, giro veloce e gara perfetta, comandata con il piglio del fuoriclasse dal primo all'ultimo giro. Non era mai riuscito a fare tanto, nemmeno quando aveva 20 anni, nemmeno quando collezionava mondiali come fossero figurine. Mai. Dicono che nello sport, come nella vita, sia la testa a guidare le danze nel momento in cui il fisico insiste per andare in vacanza. Valentino Rossi come Francesco Totti, Gigi Buffon, Valentina Vezzali, Josefa Idem: le motivazioni, quando sono forti e decisive, cariche di significati e di virtù, sono come i campioni, non invecchiano mai. 

Rossi a Jerez, un weekend indimenticabile

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Dario Pelizzari