Una giornata nell'inutile attesa del Dottore
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Una giornata nell'inutile attesa del Dottore

Il racconto della delusione del popolo del Mugello per la sconfitta di Vale Rossi: "Due volte che vengo e due volte che cade; sarà mica colpa mia?"

Il resoconto di una giornata straordinaria perché unica. Doveva essere la corsa del riscatto del Dottore, è stata invece una festa senza festeggiato

Una manciata di secondi e il sorriso si trasforma in un grande boh. Arriva una voce, che poco alla volta prende sempre più corpo e si diffonde come una nube tossica sull'area riservata al popolo del pass. "Valentino è caduto. Sì, alla prima curva. No, era la seconda. Ma tu l'hai visto? No, ma l'hanno fatto vedere in tv, me l'ha detto mio padre, che segue la gara da casa". Di colpo, tutto finisce. Meglio, non inizia nemmeno. Perché dalla struttura che sovrasta i box e governa il paddock comincia il fuggi fuggi di coloro che aspettavano di applaudire al nuovo trionfo del Dottore. Invece, niente. L'ha detto la tv. Che spiega che Rossi è stato spinto da Bautista fuori gara. Così, in una manciata di secondi. Suonano i telefonini. Chi c'era, non sa. Chi non c'era, ha capito e spiega.

Al Mugello va in scena la giornata dedicata alle due ruote e la Toscana si ferma a osservare il via vai di appassionati che arrivano da ogni dove per prendere parte all'evento che vale un ricordo infinito. In auto, si cammina. In moto, si pedala. A piedi si avanza. Poco, ma si avanza. A un paio di chilometri dalla collina che nasconde l'autodromo è già caccia aperta al parcheggio selvaggio. Il primo che arriva, si butta nella mischia e tenta il colpaccio. Per gli altri, la speranza è arrivare ai campi di granturco appena trebbiato che per l'occasione sono stati trasformati in aree di sosta per turisti fai da te. Al Mugello, l'improvvisazione non esiste o sa come nascondersi. E la corsa ingrassa, ma non stordisce. Parcheggio libero senza limiti. Per quello custodito, cinque euro e si fa prima. Perché la pista è più vicina e il rumore anche.

Poi, si entra nel fiume e ci si lascia trasportare. La corrente è forte, impossibile resistergli. E parla tutte le lingue del mondo. Sotto l'arco dell'autodromo, inizia il valzer dei pass. Chi ne ha uno, vince l'ingresso al paddock. Chi ne ha due, un viaggio premio nel paradiso dei motori. Panorama.itè ospite di bwin, che a sua volta è ospite di Pramac, l'azienda che quest'anno ha deciso di puntare forte sulla coppia Iannone-Spies per fare festa con Ducati. Il paddock è un brindisi di tecnologia e bellezza. Camion griffati con i vessilli dei team, uno sciamare discontinuo eppure costante di addetti ai lavori in abiti da lavoro, e poi le ragazze, che da quelle parti si chiamano grid girl e si sublimano in una lode al creato. Belle, bellissime, anzi, di più. Lo dimostrano le tante richieste che arrivano loro a ogni passo. Un sorriso, uno scatto e il gioco è fatto. L'uomo del paddock c'era e lo fa vedere agli amici.

Allo stand Pramac si aggira con grandi sorrisi anche Stefano Domenicali, direttore sportivo della Ferrari. E' lì come spettatore, inutile chiedergli di sottoporsi alle vessazioni della stampa. "No, oggi no, oggi lasciatemi libero", la risposta che chiude il discorso ma apre al confronto. Perché lontano dai guai della Formula 1, Domenicali sfoggia una serenità che regala speranza ai tifosi della Rossa. Via lui e poco più avanti, direzione box, si fanno vedere Christian Ghedina lo sciatore e Cafu il calciatore. La regola non cambia. Con un telefonino si chiudono i conti con il passato. Un clic e tutto passa. Anzi, rimane. L'autografo, quello no, non si usa più. Nel frattempo, intorno alla pista, il fiume di spettatori si è diviso in tanti rigagnoli colorati. Quello più grande è giallo canarino e invoca l'arrivo del Dottore. Che prima di prendere posto sulla griglia di partenza, passa e saluta. Gli applausi coprono il rombo dei motori, anche se solo per un istante.

Al Vip village, la cerimonia del pranzo si è appena conclusa tra un filetto di salmone alla griglia con purea di patate al wasabi e una pannacotta con coulis di lamponi. Siamo al Mugello, ma sembra di essere nel centro di Milano. Fuori, sui lunghi corridoi che danno verso l'esterno, i posti in prima fila sono preda dei più veloci. Sta per iniziare la MotoGp, tutta un'altra musica. I più avveduti si proteggono i timpani con dei tappi rosa shocking. Hanno fatto bene. Chi vi scrive ha ancora la gara nelle orecchie e sono passate un paio d'ore. Roba da non dormici la notte. Dentro, nella sala ristorante Vip del villaggio Vip, decine di televisori di ultima generazione trasmettono le immagini della pista. Fuori, è il telefonino che la fa da padrone. Perché i piloti passano, ma non raccontano. Insomma, Guido Meda non c'è. Anzi, c'è, ma non si sente. E allora, vale tutto. No, Vale poco, praticamente niente. Perché pronti e via e la corsa del Dottore si spegne in una scivolata.

Lo spettacolo va avanti, ma solo per dovere di firma. Lorenzo fa il tiranno, mentre Marquez si lascia stregare da Pedrosa, e crolla. Pure lui. Lo si capisce al passaggio successivo. Sul traguardo, si fa l'appello dei presenti e si intuisce che qualcosa è andato storto al giovane spagnolo della Honda. Chissà dove, chissà perché. Per qualcuno, prendere coscienza del paradosso dell'autodromo take away è un piccolo grande trauma. Sei lì, accade tutto sotto il tuo naso, ma in realtà sai meno, molto meno, di chi sta seguendo la telecronaca comodamente seduto sul divano di casa. Eppure, al Mugello la pelle trema. E l'aria dei motori ti entra nello stomaco. Ha ragione chi sbandiera la teoria della presenza applicata ai grandi eventi. Non puoi dire di essere un vero appassionato della MotoGp finché non fai i conti di persona con le emozioni che ti consegna una corsa vissuta in prima fila.

Perché è del prima e del dopo una gara che parlerai con amici e conoscenti. Dell'attesa che tutto inizi e che tutto finisca. Degli incontri che non puoi fare a meno di fare nella bolgia che fa da contorno a uno spettacolo che fa proseliti in tutto il mondo. Dei commenti che ascolti e che ti strappano il sorriso anche nei momenti in cui pensi che tutto o quasi debba essere riveduto e corretto. "Due cadute in due volte che vengo a vederlo da vicino, sarà mica colpa mia?",  si chiede un tifoso della tribù di Valentino che cammina con il giovanissimo figlio anch'egli di giallo vestito in direzione del parcheggio. Sai che se anche  gli rispondessi di sì, tutto si chiuderebbe con una risata. Perché a gara conclusa vale tutto, anzi no. Vale poco, praticamente niente.

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Dario Pelizzari