Le pagelle del Mondiale 2014: Rosberg, la grande sorpresa
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Le pagelle del Mondiale 2014: Rosberg, la grande sorpresa

Il tedesco della Mercedes è stato la grande rivelazione del campionato. Hamilton il campione designato, Alonso il fuoriclasse... dimezzato

10 – LEWIS HAMILTON

D'accordo, poteva contare sulle prestazioni da favola di una Mercedes versione razzo spaziale, bella e possibile, di gran lunga superiore a tutte le altre monoposto al via del campionato. Vero, ha diviso gli spazi della scuderia con un pilota, Nico Rosberg, che sulla scala del talento è un gradino, forse due, più in basso. E certo, ha potuto contare fino all'ultimo sull'appoggio di un team che le malelingue sostenevano facesse il tifo per il ragazzo biondo di casa, salvo poi prendere atto che la Mercedes aveva come unico traguardo la doppietta a fine stagione, perché alla fine vincere è l'unica cosa che conta, soprattutto se hai tra le mani una macchina che regala prestazioni da standing ovation. Eppure, al netto di tutto, pure del “braccino corto” di cui tanto si è parlato alla vigilia della spedizione in terra d'Oriente, Hamilton ha lottato da par suo firmando gare straordinarie per continuità ed efficacia. Il conto delle vittorie dice 11 a 5 per lui: non poteva e non doveva andare diversamente. 

9 – NICO ROSBERG

Alzi la mano chi alla viglia del Gran premio d'Australia, episodio numero 1 della stagione, avrebbe puntato forte sulla possibilità di assistere 18 gare più tardi allo scontro al vertice tra i due piloti Mercedes con in ballo un titolo ancora da assegnare. Siamo sinceri, pochi, pochissimi. Perché il pilota tedesco non aveva mai toccato con mano in carriera l'emozione dell'aria di alta classifica. Perché di fronte a un fuoriclasse come Hamilton pure lo splendore dei pezzi da novanta della F1 di oggi sarebbe  diventato un po' meno luccicante. Perché il talento, quello vero, quello che determina destini e consegna trionfi, non è merce che si compra al mercato: chi lo possiede in grandi quantità lo mette sul tavolo e arrivederci a tutti gli altri. Tuttavia, pronti e via e Rosberg ha preso il volo, confezionando gare da primo della classe che hanno prodotto pure un allungo da strabuzzare gli occhi a pochi metri dal rendez-vous di fine campionato. Gli è andata male, anzi, benissimo. Perché ha dimostrato con i fatti di aver colmato il gap con la pantera nera britannica e di poter lottare con lui già dalla prossima stagione spalla a spalla. Bene, bravo, bis. 

8,5 – DANIEL RICCIARDO

Il primo dei terrestri, l'unico pilota del Circus ad aver messo le mani (e i piedi) sul gradino più alto del podio nel campionato dominato e pure di più dalla Mercedes. E non una volta soltanto, bensì tre, in Canada, Ungheria e Belgio. Aveva iniziato con la delusione infinita di Melbourne, squalificato per irregolarità tecniche a un passo dalla prima gloria vera della carriera, e con la sfortuna che gli aveva fatto l'occhiolino nella gara successiva, a Sepang, roba da far girare la testa pure a Fantozzi. Poi, l'incanto, la meraviglia. Il giovane australiano dal sorriso facile e contagioso ha cominciato a pettinare (vedi, surclassare) il quattro volte campione del mondo con cui condivideva gli spazi in Red Bull. Una gara dopo l'altra, con il piglio del predestinato, ha letteralmente fatto a pezzi le convinzioni fuori e dentro la pista di Vettel, che a fine stagione ha preferito cambiare aria piuttosto che ripetere l'esperimento della convivenza. Il suo sorpasso “finta a destra e dribbling a sinistra” è diventato il suo marchio di fabbrica, il segno di una classe e di una qualità senza confini. Semplicemente, straripante. 

8 – VALLTERI BOTTAS

Eccolo il finlandese che ha tenuto alto i colori del suo Paese nel corso della stagione 2014. E tanti cari saluti a chi si aspettava che il derby di Helsinki a quattro ruote sarebbe stato divorato dal Kimi della rossa per ragioni di pedigree. Bottas è riuscito a tenere duro nella prima parte della stagione, quando la Williams soffriva di problemi vari che non le permettevano di lottare a tu per tu con le Mercedes, per premere sull'acceleratore dal Gran premio d'Austria in avanti. Il bilancio conclusivo è da applausi a scena aperta: 6 podi (2 volte secondo, 4 terzo) e 186 punti. Un'enormità se pensiamo che il 25enne di Nastola frequenta le stanze della F1 soltanto dall'anno scorso e che nel 2013 non era riuscito a fare meglio dell'ottavo posto. Ottimo e abbondante.

7,5 – FERNANDO ALONSO

Gli si può dire di tutto. Gli si può dire che in cinque anni alle briglie del Cavallino di Maranello avrebbe potuto interagire meglio con la squadra per trovare le soluzioni ai problemi più gravi della monoposto. Gli si può dire pure che avrebbe potuto evitare di comunicare al mondo la propria insoddisfazione per i risultati che non arrivavano puntando il dito sui tecnici che hanno lavorato con tanta dedizione e cura al suo fianco. Gli si può dire anche che se avesse migliorato l'approccio alle qualifiche, be', forse avrebbe faticato in meno a fare la voce grossa in gara, tra sorpassi da capogiro e saliscendi da pelle d'oca. Insomma, al pilota spagnolo si possono muovere critiche più o meno lusinghiere, più o meno accettabile, ma senza dubbio non gli si possono attribuire le responsabilità per il lustro di ansie della Ferrari alle prese con l'ennesimo ricambio generazionale. Alonso è un campione assoluto, senza se e senza ma, un pilota capace di fare la differenza spesso e volentieri. Con lui, una macchina che valeva il sesto posto, talvolta raggiungeva il terzo. E non capita a moltissimi. Onore dunque a lui e al suo talento infinito. Ha dato tanto, tantissimo per la causa di Maranello. Merita il riconoscimento e la stima per un'avventura che soltanto per un pizzico di sfortuna non è diventata straordinaria. 

7 – FELIPE MASSA

E chi l'avrebbe mai detto. Felipe il brasiliano lascia la Ferrari dopo 8 lunghissimi anni durante i quali gli sbadigli hanno di gran lunga superato i sorrisi e incrocia una Williams extra-lusso che gli serve sul piatto una possibilità di riscatto grande come una casa. E lui, che veniva ormai considerato dagli addetti ai lavori un pilota prossimo alla pensione, tira fuori gli artigli nelle ultime tre gare della stagione per strappare sul gong del rompete le righe un settimo posto finale che se non rimette in discussione una carriera per lo meno ne mitiga le conclusioni. Bentrovato, Massa. 

7 – JENSON BUTTON

I numeri, prima di tutto: 126 a 55 nel conto dei punti complessivi, 15 a 4 nei testa a testa gara per gara. Button batte Kevin Magnussen, collega di scuderia in McLaren tantissimo a poco. Eppure, nel travagliatissimo e talvolta inesplicabile circo a quattro ruote della Formula 1 chi è costretto a fare le valigie per altre destinazioni, molto probabilmente lontane dal mondo che gli ha consegnato un titolo iridato nel 2009, è proprio lui. La McLaren (meglio, la Honda) non gli ha rinnovato il contratto, puntando forte sulla coppia Magnussen-Alonso per la stagione che verrà. Dopo Webber, un altro grande della F1 sbatte la porta e se ne va. 

6 – SEBASTIAN VETTEL

Stessa macchina di Ricciardo, altro epilogo. Nella lotta intestina in casa Red Bull, nella quale a inizio stagione pareva fosse il collega australiano a dover recitare la parte della vittima designata sull'altare del miglior pilota della scuderia, ha accusato tanti di quei mal di pancia da scegliere di respirare aria nuova dalle parti di Maranello. Era il campione del mondo in carica, l'uomo da battere per raggiungere la vetta più alta della F1, ma con il passare delle settimane è diventato uno dei tanti, perso nelle nebbie di una svolta epocale nel regolamento che l'ha strozzato oltre il consentito e il prevedibile. Ha firmato con la Ferrari consapevole di dover esercitare l'arte della pazienza per almeno un paio di stagioni, ma quando ne avrà l'occasione non mancherà di far vedere a chi di dovere che la classe non può venire affondata dalle incomprensioni messe da parte in un campionato. 

5 – KIMI RAIKKONEN

Le chiacchiere stanno a zero. Sia chiaro, le attenuanti ci sono e vanno considerate per il valore che meritano. La prima, la più impetuosa e inattaccabile: la monoposto che gli è stata consegnata dalla Ferrari era stata confezionata su misura per la guida di Fernando Alonso. Eppure, per un fenomeno del volante come lui, che ha spesso preferito far parlare le imprese sulla pista che i sorrisi di circostanza, la stagione che si è conclusa sul tracciato di Abu Dhabi è stata in assoluto la peggiore della sua carriera nella Formula 1. Pochi, pochissimi spunti degni del suo indiscutibile talento e briciole di quella determinazione che lo accompagna dagli esordi. E' stato chiamato per far dimenticare in fretta Felipe Massa, ma lui è riuscito a fare peggio (e non di poco) del collega brasiliano. Male, male, male. 

4 – FERRARI

Fuori uno, dentro l'altro. In una combinazione perversa e pericolosissima di scelte tutte da verificare, tutte da inventare. Nella stagione più buia di Maranello da sei anni a questa parte, nulla è andato per il verso giusto. A cominciare dalla monoposto, che ha obbligato i piloti in rosso a lottare fino all'ultimo con la McLaren per il quarto posto nella classifica costruttori, lontano anni luce dalla potenza targata Mercedes. Hanno pagato in tantissimi, in alto e in basso, da Stefano Domenicali a Stefano Marmorini, da Luca di Montezemolo a (si dice) Marco Mattiacci, che quasi certamente sarà accompagnato alla porta per fare spazio a Maurizio Arrivabene, vecchia conoscenza del paddock per questioni di sponsor (è uno dei grandi capi della Philip Morris). Con la convinzione, un po' naif, che cambiando tanto si possano rivoluzionare in un amen le logiche (e i risultati) della pista. Non sarà così, perché nella Formula 1 i tempi di incubazione per cambiare l'inerzia di una monoposto sono piuttosto lunghi. Ma ormai il dado è tratto. Sergio Marchionne e Andrea Agnelli hanno deciso che questa era la strada da seguire per tornare sul tetto del mondo. E così sarà. Tra due anni ne sapremo di più. 

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Dario Pelizzari