Londra 2012, lo scandalo degli addetti alle pulizie dell'Olympic Park
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Londra 2012, lo scandalo degli addetti alle pulizie dell'Olympic Park

Il Daily Mail lancia l'allarme: il campo dove vivono gli operai olimpici somiglia a un campo di prigionia. Servizi igienici da terzo mondo

“Non ci potevo credere quando ho visto dove alloggiavano gli operai addetti alle pulizie del Parco Olimpico. Le porte di metallo e l’alta torre in mezzo mi hanno ricordato un campo di prigionia. Orribile. Pensavo che avrei trovato un lavoro. Ma poi ho cambiato idea. I miei due amici, invece, hanno firmato e ora credo che lo stiano rimpiangendo”. Andrea Murnoz, 21enne studente di Madrid, è arrivato a Londra con l’idea di sbarcare il lunario con qualche lavoretto negli spazi dedicati ai Giochi olimpici. Gli è stato proposto di aggregarsi al gruppo di coloro che sono stati incaricati di fare le pulizie all’Olympic Park, ma dopo aver visto di persona le condizioni in cui vivevano i suoi colleghi ha preferito lasciar perdere. Meglio cercare altrove. Oppure, tornare in Spagna, ha pensato. E come lui, molti altri.

Stamane l’edizione online del quotidiano inglese Daily Mail apre con un ampio servizio sull’ennesimo scandalo a cinque cerchi. Il titolo, tutt’altro che tranquillizzante: “Dieci in una stanza e una doccia per 75 persone. Dentro lo ‘slum’ degli addetti alle pulizie olimpiche”. Il resoconto di un viaggio nell’inferno. Perché di questo in fondo si tratta. Persone di tutto il mondo che sono arrivate nella capitale inglese con l’intenzione di lavorare in uno dei tanti siti di Londra 2012 e che hanno dovuto confrontarsi con condizioni al limite del possibile. Sì, perché oltre a faticare per 8-10 ore in mansioni dure ed estenuanti, gli operai erano costretti a pagare 18 sterline al giorno per ‘affittare’ un posto letto in cabine di metallo sovraffollate. E per di più, sporche e con infiltrazioni d’acqua un po’ ovunque.

Ai lavoratori del campo è stato chiesto di firmare un contratto nel quale garantivano che non avrebbero fatto parola alla stampa della loro situazione e che non avrebbero invitato all’interno dello stesso amici o famigliari. Ufficialmente, “per ragioni di sicurezza”. Sicurezza? La loro, probabilmente, quella di chi ha organizzato tutto questo e ha permesso che una cosa del genere potesse accadere. Nel 2012, e a Londra, per giunta, in quella che si vanta di essere una delle città più ospitali e organizzate al mondo.

Ecco la testimonianza di un operaio ungherese di 24 anni: “Quando abbiamo visto il campo, siamo rimasti scioccati. Eravamo convinti che gli alloggi inglesi sarebbero stati molto più accoglienti”. Perdite d’acqua? Problema di chi viveva nella struttura. Compito loro risolverlo. E se pioveva per giorni e si formavano ristagni d’acqua fuori e dentro le stanze, non c’era altro da fare che rimediare delle pietre o qualcos’altro per attraversare la zona in questione e andare oltre. Nel più completo silenzio. Nascosti dallo sguardo dei più in un villaggio dell’orrore nell’East London.

Craig Lovett, di Spotless International Services, la società che gestisce il campo ha dichiarato: “Il campo non è una prigione. Nessuno ha obbligato gli operai a pernottare nella struttura. Molti dei nostri collaboratori arrivano da zone del mondo in cui il tasso di disoccupazione è elevatissimo e sono felici di lavorare ai Giochi. Ci saranno sempre un paio di persone che non sono felici della sistemazione, ma nessuno si è mai lamentato di nulla e avrebbero potuto farlo”. Insomma, perché lamentarsi?

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Dario Pelizzari