LeBron James (e gli altri Nba) 'in piedi' contro il razzismo negli Usa
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LeBron James (e gli altri Nba) 'in piedi' contro il razzismo negli Usa

Il leader dei Cavs duro sulle discriminazioni negli States: 'I mie figli fermati dalla polizia? Avrei paura". E gli atleti afroamericani si associano alla protesta

Non sono rimasti seduti come il quarterback dei 49ers Colin Kaepernick, ma i giocatori dei Toronto Raptors a braccia conserte durante l’inno americano, prima della partita di preseason contro Golden State, dicono che LeBron James ci aveva visto lungo: ‘È giusto che ognuno esprima la sua opinione e che si alzi in piedi ('to stand' è il verbo inglese che esprime al meglio il concetto) per protestare in modo pacifico. (..) E vogliamo – parlando a nome dell’associazione dei giocatori, di cui il numero 23 è vicepresidente - che di razzismo si continui a discutere”.

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I giocatori dei Toronto Rapotors a braccia conserte durante l'inno americano. (Fonte: Twitter)

E la discussione sulle discriminazioni razziali va avanti negli Stati Uniti dopo gli episodi della scorsa estate che hanno visto l’uccisione di altri uomini di colore – sono 15 gli omicidi negli States dal 2014 a oggi - da parte della polizia. In modo più o meno silenzioso diversi atleti si sono schierati – lo hanno fatto Carmelo Anthony, Dwyane Wade e Chris Paul – ma la posizione di LeBron James, uomo intelligente dentro e fuori dal campo, è quella che sembra aver colpito più nel segno.

Rispettando ma non sposando la scelta di Kaepernick di rimanere seduto durante il ‘The Star-Spangled Banner’ il Prescelto è andato diritto al punto dicendo quello che forse molti personaggi pubblici si sono sempre vergognati di dire: ‘Ho un figlio di 12 e uno di 9, oltre che una figlia di 2 anni. Se dicessi loro che nel caso un giorno venissero fermati da un poliziotto dovrebbero solo fare quello che dice e che tutto andrebbe per il meglio, probabilmente direi loro una bugia”.

LeBron James (che di recente ha anche reso pubblico il suo appoggio alla candidata democratica Hillary Clinton)  ama gli Stati Uniti, così come il loro inno, ma sa anche di essere un rappresentante decisivo per la comunità nera – lo scorso giugno è stato dichiarato da ESPN il secondo sportivo più famoso e riconoscibile al mondo – e di poter avere un impatto sull’opinione pubblica statunitense che si era detta indignata dalla (presunta) mancanza di rispetto del quarterback di San Francisco. 

‘La protesta non violenta va accettata, rispettata e non criticata’ le parole di James. Una massima che gli analisti americani hanno paragonato a quelle leader dei diritti civili Martin Luther King. Un po’ troppo, forse. Eppure tra tante tante proteste ‘civili’ quella più discreta ma meno silenziosa (ossimoro tipico dei discorsi del pastore di Atlanta) è stata proprio quella del King, in questo caso James. Il suo messaggio è arrivato diretto al cuore dell’establishment americano.

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Teobaldo Semoli