Nba, James a Cleveland: cosa c'è davvero sotto
Getty Images
Lifestyle

Nba, James a Cleveland: cosa c'è davvero sotto

Riponiamo l'ormai già famosa lettera nel cassetto per considerare 5 motivi, assai meno romantici, per cui LeBron ha scelto di tornare ai Cavs

James è tornato a Cleveland “per dare speranza ed essere un esempio per la sua gente – dice lui – e per far si che i ragazzi dell'Ohio capiscano che non c’è posto migliore per crescere”. C’è da crederci? Insomma. O meglio sì, se si pensa all’uomo, anzi al ragazzo Lebron che è nato e cresciuto in Ohio, ad Akron, dove vorrebbe far crescere anche la sua bambina. No, se pensiamo all’affarista James che qualche anno fa aveva dichiarato pubblicamente di voler diventare l’uomo più ricco del pianeta e che nel frattempo è diventato il cestista più pagato al mondo, con 72,3 milioni di dollari l’anno (tra stipendio e sponsor), e il terzo sportivo in assoluto.

Spostare Lebron James vuol dire muovere una mole di denaro impressionante, pari almeno al suo valore netto di mercato, che il sito therichest stima essere intorno ai 110 milioni di dollari. Ma perché il Prescelto avrebbe deciso di privare del suo talento (e dei suoi milioni) una squadra da titolo come gli Heat, che peraltro giocano nella suggestiva cornice di South Beach, per tornare a Cleveland, città universalmente riconosciuta come “the mistake on the lake” (letteralmente "l'errore sul lago"), in un franchigia con un record di 33 vinte e 49 perse nell’ultima stagione e con una delle tradizioni sportive, tra basket, Nfl e Major League, tra le più perdenti della storia USA? 

Per avere una risposta è necessario leggere tra le righe della lettera recapitata da James a Sports Illustrated e considerare fattori esterni, soprattutto economici, che gli stessi media americani hanno evidenziato nelle settimane vicine alla decisione, poi redenzione, del nativo di Akron. Abbiamo raccolto i più importanti:

1- Lebron James e il suo manager sono cresciuti insieme, in Ohio

Soprattutto Rich Paul è in stretti rapporti con i Cavs e il loro proprietario Dan Gilbert ed è stato l’uomo chiave – come sottolineato in un articolo di Fox Sports  – nelle trattative tra James, gli Heat e i Cavaliers. La scelta di affidarsi a Paul aveva sollevato già all’epoca, nel 2010, forti dubbi sulla permanenza del Prescelto a Miami. Fino a quel momento infatti Lebron era stato seguito da Aroon Goodwin, le stesso agente di Wade e Bosh, che a sua volta aveva avuto un ruolo fondamentale nel suo trasferimento a South Beach. Una vicenda che ai conoscitori del calciomercato nostrano era sembrata simile alla più classica della manovre in stile Mino Raiola. Ora Lebron potrà tornare a Cleveland, in una franchigia disposta a fare qualsiasi cosa per riaverlo e con un agente "amico" (per davvero) e in grado di ottenere per lui il massimo della garanzie, sia dal punto di vista tecnico che economico. 

2- Lebron James è sottopagato

Sembra incredibile visto che parliamo di un giocatore da 19 milioni di dollari di salario a stagione ma già nel 2013 la rivista Forbes aveva evidenziato  che per il suo reale valore di mercato James avrebbe dovuto guadagnare tra i 40 e i  50 dollari a stagione. Assurdo? Non così tanto se si pensa che sempre secondo i calcoli della rivista americana prima dell’arrivo di Lebron gli Heat valevano 364 milioni di dollari contro i 770 milioni attuali (qui la classifica aggiornata ). Un guadagno netto di 406 milioni per Miami, ottenuto a colpi di merchandising (la maglietta di Lebron è stata la più venduta dell’ultima stagione a un prezzo di 89,99$) e diritti Tv. Ma perché i Cavs potrebbero garantire a James maggiori guadagni? Qui sotto la risposta.

3- Miami non poteva pagare Lebron

Nella Nba infatti esistono una serie di regole per cui, detto brutalmente, i proprietari non possono prendere e pagare tutti i giocatori chi vogliono. Sforare il salary cap, calcolato in funzione dei guadagni dell’intera lega, vorrebbe dire pagare una tassa salata su ogni dollaro di eccedenza. Per questo Miami non aveva potuto dare ai suoi big three il massimo dello stipendio e James aveva dovuto “accettare” di essere pagato comei colleghi Wade e Bosh, anch’essi all star ma di certo non del livello del Prescelto.

4- I giovani costano meno

Sempre per questioni di regolamento, i giocatori appena entrati nella lega (i cosiddetti rookie) devono sottostare per quattro anni a limiti salariali (qui la tabella ) che nella realtà garantiscono alte dosi di talento a prezzi inferiori alla media Nba. Lo sapeva James, che a Cleveland troverà Kyrie Irving e Tristan Thompson, giovani di sicuro prospetto (il primo è già all star) che senza togliergli spazio in termini salariali potranno garantire ampi margini di crescita ai Cavs. Lo sapevano gli Heat che affidandosi ai nuovi arrivati potranno trattenere Wade e Bosh e provare a costruire una squadra competitiva.

5- La maggior parte degli introiti di James non derivano dal basket

Come evidenziato in un articolo dell’esperto di sport ed economia Kurt Badenhausen  la gran parte dei guadagni di James non vengono dal basket ma dai suoi sponsor. I contratti con Coca-Cola, Nike, Upperr Deck, Samsung, Audemars Piguet e Dunkin Donuts valgono a Lebron oltre 42 milioni di dollari l’anno. Viene difficile pensare che lui e il suo entourage non abbiano pensato ai guadagni in termini di visibilità e merchandising derivanti da una nuova decision, in questo caso il ritorno ai Cavs. Per ora ci sono state la lettera e la conferenza stampa. Ci saranno scarpe, magliette e quant’altro. La cosa dovrebbe fruttare a Cleveleand, sempre secondo gli esperti, oltre 50 milioni di dollari. Per James dovremo munirci della calcolatrice.

I più letti

avatar-icon

Teobaldo Semoli