Lo scudetto della Juve e le lacrime sul calcio di Milano
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Lo scudetto della Juve e le lacrime sul calcio di Milano

Bianconeri a un passo dal tricolore, romane in difficoltà (Garcia più di Pioli), il Napoli risale e a San Siro è bello solo il contesto

29 aprile 2015, il giorno in cui molto probabilmente la Juventus si vestirà di tricolore per la 31° volta (o la 33° a seconda delle contabilità), chiudendo in modo ufficiale la pratica del campionato. Il week end della serie A lascia in eredità l'annuncio di un verdetto, spinge sempre più in basso Cagliari e Cesena, riscatta il sabato orribile vissuto tra vandalismi e violenze ultrà e, alla fine, regala un derby di Milano in tono minore (qui la video-sintesi) ma sufficientemente divertente. Nulla di trascendentale, per carità, però si è visto qualcosa e prima di tutto San Siro pieno come non accadeva da tempo immemore. E' l'immagine da portare via insieme alla considerazione che l'unica corsa che resta aperta alle spalle della Juventus è quella per i posti in Europa: stanchezza e pressioni cominciano a farsi sentire e i risultati non brillanti di molte pretendenti lo testimoniano. Una specie di ciapanò di cui approfitta il Napoli, mentre le milanesi mancano il colpo. Del resto dopo una stagione fallimentare non potevano che fallire anche l'ultimo obiettivo, la supremazia cittadina.

Juventus, conto alla rovescia tricolore

Che sullo scudetto juventino ci fossero pochi dubbi lo sapevamo da settimane. Adesso che anche la resistenza dell'ottima Lazio di Pioli è stata spazzata via, c'è la certezza che siamo al conto alla rovescia. Quando lo vinceranno Tevez e compagni? Magari domenica prossima, ma è difficile, molto più probabile mercoledì 29 aprile contro la Fiorentina e sarebbe una goduria immensa a Torino e dintorni. E se anche saltasse l'appuntamento infrasettimanale, ecco pronta la prova d'appello a Marassi il 2 maggio, con largo anticipo su qualsiasi previsione rosea di inizio stagione. Questi, però, sono discorsi da bar dello sport. La realtà è che la superiorità della Juventus è imbarazzante e, soprattutto, non si vede come possa essere scalfita nel breve periodo. Anche partissero Tevez e Pogba, anche considerando l'età che passa per Buffon, Pirlo e gli altri... Anche mettendo tutto insieme quando il campionato sarà in grado di esprimere un'avversaria di livello? Pensare che il mercato estivo colmi il gap è puro esercizio di fede. Cieca.

Le parole che Tevez non dice

Sabato sera nel ventre dello Stadium l'argomento più gettonato era il futuro di Tevez (18 gol in campionato e 26 stagionali). Parte o non parte? Boca o Juventus? Non perché quei cattivoni di giornalisti ce l'abbiano con la Juve e stiano cercando di sabotarne la rincorsa al triplete, ma a causa del tanto dire (e non dire) dei protagonisti. Se non esistessero dubbi sull'Apache Marotta in settimana non avrebbe detto che il club "rispetterà le volontà di Carlos", il presidente del Boca Angelici non avrebbe sparato a salve che sta per riprenderselo e Tevez stesso si sarebbe comportanto diversamente. Non avrebbe esultato con l'ormai celebre 'gallinita', gettando benzina sul fuoco, e avrebbe risposto "resto qui fino al 2016, punto e basta" alle decine di domande tutte uguali: vai o resti? Invece Carlos ha detto: "Non è giusto che si parli di me, conta la Juve. Viviamo un momento straordinario e se deciderò di andare via i primi a saperlo saranno i tifosi". Tutto chiaro, no? La parabola ricorda quella di Mourinho nella primavera del 2010. Non è detto che finisca allo stesso modo, ma di sicuro nessuno sta riempendo pagine di giornale con scenari inventati di sana pianta.

Roma col freno a mano e il Napoli ritrovato

Alle spalle dei futuri campioni d'Italia è ancora vivo l'altro campionato. Avevamo dato per spacciato il Napoli e invece il pugno duro di De Laurentiis sta producendo i suoi effetti: vittorie contro Fiorentina e Cagliari, trionfo di Wolfsburg e stagione che può tornare a volgere al bello. Non è ovviamente merito del ritiro, ma di sicuro la sterzata imposta dal presidente è servita e altrettanto certamente è stata tardiva. Se il Napoli è rientrato nella lotta per la Champions League, però, il (de)merito è tutto di Roma e Lazio. Nessuna bocciatura per Pioli, anche se a Torino si è vista la brutta copia della squadra degli otto successi consecutivi: male Anderson, in difficoltà la difesa, un po' scarichi tutti gli altri. La Roma è un vero mistero. La faccia di Garcia alla fine della gara con l'Atalanta dice tutto. Il francese non difende più i suoi uomini e ha scelto la linea dura. E' deluso e l'ambiente lo è più di lui, il che apre a un regolamento di conti a fine stagione. La ragione principale, ma non unica, delle difficoltà giallorosse sta nell'incapacità di segnare. Poi c'è tutto il resto, ugualmente deludente. Aggrapparsi agli arbitri o alle condizioni ambientali di uno stadio senza curva non aiuta a risolvere i problemi.

Abodi pronto per la presidenza della Bundesliga

Sabato all'ora di pranzo, con le prime notizie provenienti da Varese che raccontavano della devastazione dell'Ossola ad opera degli ultrà di casa (gentiluomini di estrema destra ben descritti dal Corriere della Sera), il presidente della Lega di serie B, Andrea Abodi era in treno con destinazione Terni. Attivo, informato e pronto ad agire. Soprattutto disponibile con tutti, perché ha capito che la comunicazione in certi momenti se non tutto, conta molto. Quindi cellulare in mano per dettare la linea: "Basta ai violenti, ripristinare la legalità, chiederemo i danni non appena i responsabili verranno individuati". La pratica della causa contro i violenti per farsi restituire almeno i soldi dei danni causati è la normalità in Europa e territorio quasi sconosciuto da noi. Quindi un plauso a chi ha deciso di perseguire i colpevoli, non solo a parole, perché valga come esempio per tutti. Quanto alla alla velocità del tempo di reazione, basti pensare che a 60 ore dai fatti di Cagliari l'unica voce ufficiale sentita è quella del club sardo; che ha provato a convicere tutti che il "confronto con torni duri" andato in scena ad Asseminini rappresenta la normalità e non un cancro da estirpare.

Il braccino corto di Samp, Genoa e Torino

La corsa all'Europa League, che si ottiene solo entrando in una delle prime sei posizioni della classifica, resterà aperta fino all'ultima giornata. La certezza l'abbiamo ricavata vedendo il braccino corto che ha colpito improvvisamente Samp, Genoa e Torino nel week end che avrebbe potuto segnare lo strappo di una delle tre. Mihajolovic ha raccolto la miseria di due punti nelle ultime tre giornate e Ventura, alla vigilia del derby con la Juventus, è reduce da un doppio pareggio anche se quello di Reggio Emilia fa particolarmente male. Del Genoa caduto a Palermo basta ricordare che ha vinto solo una delle ultme sei partite. E' come se tutti si siano messi a giocare per rimettere in corsa le milanesi o almeno una delle due: dare un senso al derby più triste della storia recente, insomma. Poi ci ha pensato Banti, un pizzico di sfortuna di Mancini e Diego Lopez con le sue parate a chiarire che sotto la Madonnina c'è poco da spremere. Occhio, però, al calendario perché nulla va dato per scontato; la Samp va a Napoli e il Toro incontra la capolista. Il rischio è che tra sette giorni ci sia ancora più caos nella zona dove si sgomita per uno strapuntino in Europa.

Ultrà, botte e insulti (ma anche troppi silenzi)

Il Cagliari minacciato dai suoi tifosi ha perso. A essere cinici non ha funzionato il 'metodo del Bocia' che una settimana fa aveva contribuito alla ripresa dell'Atalanta come detto da Reja dopo la gara col Sassuolo. Osservando gli occhi persi di molti giocatori sardi si è avuta netta la sensazione di smarrimento. Anche la Roma non ha vinto e per la retorica del peso delle curve di sicuro è stata svantaggiata dall'assenza della Sud. A mancare, però, continuano a essere le parole dei protagonisti. Stendendo un velo pietoso su chi derubrica assalti ai ritiri in duri confronti, registriamo che dopo due settimane Rudi Garcia non se l'è ancora sentita di esprimere un parere sugli striscioni e i cori di Roma-Napoli. Continua a dare lezioni sulla giustizia sportiva italiana, a rifugiarsi nella comoda formula del "parlo solo della partita" e a dire che non è stato Pallotta a squalificare i tifosi. Critica verso indecoroso che ha fatto il giro del mondo? Zero virgola zero. Aspettiamo fiduciosi che abbia formulato un pensiero. Uno qualsiasi purchè inerente al tema.

Le lacrime di Galliani sul derby minore

Adriano Galliani ai tifosi sulle scale di San Siro a fine partita: "Cosa c'è da dire? C'è da dire poco, piuttosto c'è da piangere. Non a caso siamo una nona e una decima". Non ce l'aveva con Inzaghi e con il Milan, ma in generale con la crisi attuale del calcio milanese che vivacchia a metà classifica senza arte né parte. Ha detto ancora, alla fine della penultima rampa prima di infilarsi verso gli spogliatoi: "Avrebbero potuto vincere (l'Inter ndr) ma non sarebbe cambiato nulla: saremmo sempre stati una nona e una decima". pathos zero, insomma, anche se non è stato il peggior derby della storia. L'Inter poteva vincerlo, ma a Mancini sta mancando anche una certa dose di fortuna (e un rigore netto), il Milan non ha perso e può ancora conservare un lumicino di speranza europea. Il meglio si è visto fuori: 74.022 spettatori, coreografie da urlo quasi come senso di ribellione verso il ridimensionamento di una città di cui il calcio italiano ha disperatamente bisogno. Non se la prendano gli juventini o la gente di Roma: vale lo stesso discorso fatto ai tempi di Calciopoli per la scomparsa della Juve. Senza Milano la serie A vale meno.

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Giovanni Capuano