La memoria corta di Pippo&Clarence
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La memoria corta di Pippo&Clarence

Sognano la panchina del Milan, attaccano Allegri in difficoltà ma i numeri dicono cose diverse...

Che Allegri rappresenti oggi l’anello debole della catena-Milan appare evidente anche dai piccoli particolari e non solo dalla lettura delle cronache che raccontano i pranzi in cui Berlusconi esterna ai commensali tutta la sua insoddisfazione per come è iniziata la stagione. Malgrado le smentite del giorno dopo, infatti, non è impossibile trovare una sorprendente coincidenza nelle parole di Inzaghi e Seedorf, i due ex senatori in lotta per l’eredità di Allegri.

Uno è il preferito di Galliani, che lo sta crescendo in seno alla società, attento a non bruciarne le chance in maniera prematura. L’altro ha un rapporto privilegiato con Berlusconi che ha confessato in tempi diversi la voglia di metterlo in panchina scommettendo sul suo carisma e sull’intelligenza calcistica poco comune.

Entrambi sono legati dall’odio (sportivo) verso Allegri che, per vulgata, avrebbe messo fine alla loro storia in rossonero rottamandoli come ferri vecchi. Se la sono legata al dito e dopo aver abbozzato per qualche mese, una volta strappata Allegri la riconferma nella cena di Arcore, ora sono tornati all’attacco. Dicono, Pippo&Clarence, di aver mollato perché Max li aveva messi da parte, non li faceva giocare più e che loro avrebbero potuto dare ancora molto malgrado l’età e gli acciacchi.

E’ noto che l’umiltà non ha mai occupato una parte preponderante del bagaglio caratteriale dei due. Adesso che Allegri è in difficoltà, però, pare potersi affermare che anche la memoria fa difetto a Pippo&Clarence, che incolpano l’allenatore e dimenticano come andarono davvero quegli ultimi mesi a Milanello. Seedorf, ad esempio, ha detto (prima di smentire) di aver sofferto la scelta di coinvolgerlo solo nella partite importanti e di accantonarlo nelle altre. Vero? Tabellini alla mano risulta che nel 2011-2012 mise insieme 26 presenze tra campionato e Champions League, partendo 21 da titolare e riposando in panchina o tribuna solo 10 volte perché in realtà tutte le altre volte era ai box a causa di un paio di brutti infortuni.

Vero è, invece, che a scudetto ancora caldo nel maggio 2011, l’olandese aveva additato proprio Galliani come nemico numero uno. Erano i giorni caldi del rinnovo e dell’addio di Pirlo: “Non si trattano così le bandiere – sparava ad alzo zero -. Ho stima e riconoscenza per il presidente Berlusconi, il mio rapporto con lui è sempre lo stesso ma non è lui che gestisce queste cose, lo fa Galliani”. E un mese prima aveva detto: "Sento troppi luoghi comuni; io gioco sempre e non solo le partite importanti”. Quell’anno aveva messo insieme 38 presenze complessive. La differenza? Zero infortuni e più o meno lo stesso numero di tribune e panchine.

Anche Inzaghi ha perso la memoria dell’ultima stagione rossonera. Veniva dalla rottura del legamento crociato del ginocchio (novembre 2010) che lo aveva fermato per sei mesi, quelli in cui avrebbe voluto “giocare con Ibra in maniera stabile” e che “non fu possibile perché tutti sapete com’è andata”. Zlatan trascinava il Milan allo scudetto, lui stava in infermeria. Ecco, come andò veramente. E un anno dopo Allegri, che aveva a disposizione Ibrahimovic, El Shaarawy, Cassano, Robinho e Maxi Lopez oltre a Pippo, semplicemente fece scelte diverse e ragionevoli oltre che legittime. Inzaghi aveva 38 anni ed era logoro. Non fu escluso per antipatie o impuntature.

Questi i fatti. Il resto fa parte del tiro al Max che a Milanello è diventato in queste settimane sport olimpico e che è destinato a proseguire fino a maggio quando Allegri saluterà la compagnia. Tutto normale, per carità. Il tecnico livornese è debole e i risultati non lo aiutano. Semmai viene è lecito domandarsi quanto bene faccia al Milan questo fuoco ‘amico’ incrociato. Viene da chi giura di amare i colori rossoneri più di ogni altra cosa. Se è vero, che cessi immediatamente. Almeno in onore della memoria.

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Giovanni Capuano