Incidente Bianchi: perché far vedere (e vedere) il video
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Incidente Bianchi: perché far vedere (e vedere) il video

La Fia non divulga le immagini, ma un filmato amatoriale appare nel web. Spegnendo le polemiche e ricordando perché i piloti contano più degli altri

Tom Pryce era un coraggiosissimo e talentuso pilota gallese che correva in F1 con la Shadow. Morì il 5 marzo 1977 sul circuito di Kyalami durante il Gp del Sudafrica per una tragica fatalità: investì e uccise un addetto alla sicurezza che incautamente attraversò la pista in pieno rettilineo, venendo a sua volta colpito alla testa dall’estintore che quello impugnava.

Guardando la telecronaca in Tv (allora si diceva così, il termine “diretta” sarebbe arrivato dopo), nessuno capì esattamente cos’era successo, perché le telecamere non avevano ripreso la scena, e la morte di Pryce e dell'altrettanto sfortunato addetto venne annunciata solo a Gp terminato. Quando ciò accadde, chi scrive - allora ragazzino - pianse lacrime amare perché Pryce era il suo idolo, rigorosamente applaudito e a sua insaputa incitato ogni volta che correva nel vicino autodromo di Monza.

Da allora la F1 ha fatto passi da gigante in termini di sicurezza, ma il fato è sempre in agguato, come dimostra il recente incidente di Jules Bianchi a Suzuka. E per quanto ormai da tempo annoiato dalla F1 dei computer a bordo e degli ingegneri che danno ordini dai box esortando pure a spingere di più "perché i dati confermano che puoi farlo", nel nome di Tom Pryce, un campione costretto troppo presto al ritiro, chi scrive continua ad avere un sacro rispetto per i piloti: quelli che davvero rischiano la pelle se qualcosa va storto, mentre tutti gli altri rischiano al massimo un licenziamento con lauto indennizzo se i risultati non arrivano.

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Guardare - e quindi pubblicare - il video amatoriale dell’incidente occorso a Jules Bianchi, augurandogli di vincere la gara più difficile della sua vita, non è quindi la volontà di soddisfare la curiosità di chi - imbecille - guarda ogni gara sperando di assistere a un crash spettacolare, ma un modo di ricordare chi sono gli uomini che per passione prima ancora che per denaro mettono la loro vita in gioco nel circo (anche “circus” è venuto dopo) della velocità, chi sono quelli che sfidano ogni volta la morte a dispetto di tutta la tecnologia di questo mondo.

E anche un modo per capire davvero cos’è successo, per spegnere qualsiasi polemica sulle responsabilità o meno di chi stava facendo il suo lavoro in pista e che per un pugno di metri non è stato a sua volta travolto.  Con buona pace della scelta della Fia di non rendere pubbliche le immagini e di quella per certi versi ancora più ipocrita di chi non le ha fatte vedere in Tv, riferendo però da studio che erano visibili sul proprio sito web... Volete il nome della rete? Lo troverete facilmente sulle carene di alcune moto in gara il prossimo weekend.  

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Paolo Corio