Giuliano Pugolotti, il runner dei deserti
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Giuliano Pugolotti, il runner dei deserti

La strana storia di un 53 enne di Parma che attraversa (di corsa) i luoghi più estremi del pianeta

"Quando corri nel deserto c'è un momento in cui la mente e il corpo entrano in armonia. E' come se il caos in cui siamo abituati a vivere trovasse improvvisamente un suo preciso ordine. E' questa sensazione che ogni volta mi spinge a partire per una nuova sfida".

Giuliano Pugolotti, 53 enne di Parma, di lavoro fa il pubblicitario e come "hobby" attraversa di corsa i deserti di tutto il mondo. Per buona parte della sua vita Giuliano ha fatto (e lo fa tuttora) quello che fa la maggioranza delle persone, districandosi tra gli impegni dell'ufficio e della famiglia. Finchè un giorno per caso ha incontrato quella che sarebbe diventata la sua vera passione. "Stavo correndo nel parco quando mi si è affiancata una persona che poi ho scoperto essere un corridore professionista - spiega Pugolotti - mi disse che ero fatto per correre e così qualche tempo più tardi mi sono iscritto alla mia prima maratona". In quel momento Giuliano non sapeva ancora che avrebbe attraversato i territori più aridi della terra (lo ha fatto per 14 volte) affrontando le sfide più estreme. Insomma non immaginava che sarebbe diventato un runner dei deserti...

Giuliano, ci racconta come è nata la sua particolare passione?

"Nel 2005 decisi di iscrivermi a una corsa a tappe in Tunisia, non particolarmente difficile guardandola oggi. Era una cosa che volevo fare da tempo ma devo ammettere che fu un'esperienza traumatica: di punto in bianco mi ritrovai in un ambiente sconosciuto per un uomo occidentale, costretto a dormire in una tenda beduina, al freddo e con i rumori della notte che ti tormentano il sonno. Volevo scappare dopo il primo giorno".

E poi cos'è successo?

"La natura mi stava dicendo che non ero in grado di batterla ma in quella notte ruscii a trasformare quel pensiero in qualcosa di positivo. I nostri limiti la maggior parte delle volte sono veramente solo mentali. E così portai a termine la mia gara. Anche se finii oltre il 60esimo posto avevo dimostrato a me stesso che ero capace di superare sfide del genere".

Che tipi di gare si svolgono nel deserto?

"Ci sono le maratone a tappe e quelle no-stop. In Algeria, ad esempio, si corre una gara unica da da 270 km, senza fermarsi. Ogni 25 chilometri c'è un passaggio obbligato da raggiungere con il GPS e quindi è indispensabile essere in grado di orientarsi. Nella Sahara Race, 250 chilometri di sabbia e dune, ci sono invece delle bandierine, luminose durante la notte, che segnalano la direzione in cui bisogna correre. Detto così sembra facile, poi però esistono sono gli imprevisti...".

Imprevisti?

"Qualche tempo fa nel deserto del Gobi mi si è fulminata la lampadina frontale che tengo sul casco per riuscire a correre di notte. Non c'era luna e sono dovuto rimanere fermo per oltre 6 ore aspettando che arrivasse qualcuno, che per fortuna è passato".

Possiamo solo immaginare lo spavento...

"La paura è qualcosa di positivo perchè ti consente di essere prudente ma penso anche che sia un sentimento che creiamo nella nostra testa. Dentro di me sono tranquillo e quindi riesco a non avere paura né del deserto né della notte".

Vuol dire che non si è mai trovato in una situazione in cui ha avuto paura?

"Personalmente no. Ho visto però persone paralizzate dalla paura che faticavano addirittura a muoversi. Questo però accade quando manca un tassello all'interno di te stesso e di certo non puoi pensare di sistemarlo in una maratona nel deserto".

A cosa pensa mentre corre?

"Penso a tutto quello a cui non riesco a pensare a casa, preso come sono nella mia routine quotidiana. E penso soprattutto al mio corpo. Lui mi manda dei segnali e per poterli captare devo essere estremamente concentrato. Riuscire a raggiungere un equilibrio con il proprio corpo in una situazione così estrema regala una sensazione veramente unica".

E' questa la sensazione che ricerca in queste imprese?

"Forse. Diciamo che è una cosa graduale. Ho bisogno di un giorno per entrare in simbiosi con il luogo e riuscire a raggiungere questo particolare stato, fondamentale per non litigare con "il mostro"?

Chi è "il mostro"?

"E' così che chiamo il deserto, per non dimenticarmi che non devo mai abbassare la guardia".

Come riesce a conciliare il suo lavoro con la preparazione per queste imprese?

"Trovo tempo dove il tempo non c'è (ride nda)".

Si spieghi...

"Tutti dicono sempre di non avere tempo per fare sport. Invece il tempo c'è, basta sapersi organizzare. Una volta ero in coda in autostrada, dopo una giornata di lavoro. Mi sono fermato in una piazzola di sosta, ho indossato le mie scarpe da corsa, che porto sempre con me, e sono andato a correre nei campi a lato dell'autostrada. Una volta tornato il mio corpo era ben allenato, la mia mente rilassata e la coda era sparita!".

Di nuovo, ha trasformato il negativo in positivo...

"Non riesco a capire come certe persone possano avere il fiatone facendo una rampa di scale. Soprattutto mi fa uscire di testa che non sappiano quello che il nostro corpo e la nostra mente sono in grado di fare. Vederlo con i propri occhi è una cosa davvero eccitante. Ricordo una signora inglese di 63 anni che nel deserto riuscì ad arrivare in fondo ad una tappa di 42 chilometri durissima. All'arrivo andai ad abbracciarla come se avesse vinto chissà che cosa. In realtà la stavo sollevando e stritolando. Mi aveva fatto emozionare".

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Teobaldo Semoli