Figc e Lega calcio, al via il risiko. E Abodi rischia

Figc e Lega calcio, al via il risiko. E Abodi rischia

Fino a giovedì scorso, al di là delle inevitabili schermaglie di facciata, il valzer di poltrone ai piani alti del calcio italiano era già definito nei dettagli. Andrea Abodi, dopo un biennio di riforme che hanno ridato ossigeno …Leggi tutto

Andrea Abodi, in primo piano con il pallone, e Giancarlo Abete (credits: Gian Mattia D'Alberto/LaPresse)

Fino a giovedì scorso, al di là delle inevitabili schermaglie di facciata, il valzer di poltrone ai piani alti del calcio italiano era già definito nei dettagli. Andrea Abodi, dopo un biennio di riforme che hanno ridato ossigeno economico alla Lega Calcio Serie B, pareva destinato a sostituire, senza troppo battagliare, il dimissionario Maurizio Beretta sulla poltrona della massima serie. Al posto di Abodi sarebbe salito al vertice della cadetteria uno tra Salvatore Gualtieri (già vicario di Abodi nonchè vicepresidente del Crotone) e Michele Uva, suo avversario nella scorsa tornata elettorale, collezionista di incarichi e consulenze in Fifa e Uefa, ma soprattutto uomo di business e prodotto.

Giovedì, secondo quanto risulta a Panorama.it, Abodi poteva contare sul voto favorevole di 12 o 13 presidenti di serie A: molto più dei dieci accreditatigli dalla stampa sportiva, e a un passo dal quorum minimo di 14 preferenze necessarie per issarsi alla testa della Confindustria pallonara già in occasione della prima convocazione dell’assemblea elettiva di Lega, calendarizzata per  il 20 dicembre.

Un avvicendamento scontato, insomma, come si sussurrava nei tanti capannelli informali tra dirigenti calcistici dove in questi giorni le discussioni su calciomercato, diritti televisivi e appunto nomine manageriali si accavallavano senza soluzione di continuità. Anche perchè Abodi, questo non è un mistero, poteva (e può tuttora) contare sull’endorsement di Giancarlo Abete, numero uno della Federcalcio che non ha ancora sciolto la riserva circa una sua eventuale ricandidatura.  La Figc, infatti, sceglierà il suo nuovo presidente tra poco più di un mese e se Abete decidesse di ripresentarsi l’appoggio di un “grande elettore” da lui stesso aiutato a sistemarsi sarebbe quasi scontato.

Nelle stanze che contano la cosa fa un po’ sorridere, visto che due anni fa tra i due non correva certo buon sangue: nel 2010 Abete appoggiò Uva e probabilmente lo rifarà stavolta, anche se l’avversario è cambiato. Ma sono cose che stupiscono solo chi non realizza che le dinamiche calcistiche ricordano da vicino quelle di un congresso democristiano degli anni Settanta, tra cordate e correntoni. Evidentemente però Abodi, che prima del weekend si sentiva già la nomina in tasca pur non avendo ancora rassegnato le sue dimissioni dalla Lega B (che rinnoverà invece i suoi vertici a gennaio), non aveva tenuto conto del principale assioma andreottiano: «Se la sera hai l’incarico, la mattina dopo rischi di non essere nemmeno più candidato».

Non che la corsa di Abodi sia compromessa, tutt’altro: ma il percorso, a qualche giorno di distanza dalle felicitazioni che i più avventati gli avevano già manifestato in privato, non appare più così in discesa.

Primo ostacolo: a qualche presidente (in primis quelli delle due squadre romane) non è andato giù come Abodi volesse garantirsi una sorta di salvacondotto evitando di convocare l’assemblea dei cadetti. In questo modo avrebbe sempre potuto ottenere una poltrona di consolazione se avesse mancato il boccone grosso. Sabato 15 l’attuale presidente, conscio del rischio, ha allora deciso di rassegnare le dimissioni dal vertice della B, non mancando di far trapelare alla stampa di averle già ventilate alcuni giorni prima in Figc. Basterà? Secondo Claudio Lotito, presidente della Lazio, no. Ieri, intervistato a Radio24 nel corso della trasmissione A Tempo di Sport, il vulcanico numero uno biancazzurro ha ipotizzato una possibile incompatibilità giuridica per Abodi, visto che l’assemblea della Lega B non ha ancora ratificato le sue dimissioni. Bizantinismi, dicevamo. Si vedrà.

Secondo ostacolo: quella che in partenza pareva una candidatura vincente soprattutto perchè priva di competitors forti ha dovuto, durante il fine settimana, fare i conti con alternative rese più forti dagli eventi. Nelle ultime ore, infatti, ha ripreso vigore l’idea di affidarsi a un Beretta-bis. Sono tanti i paradossi che accompagnano questa eventualità, su tutti il fatto che il suo mandato sia scaduto il 30 giugno scorso e che nessuno tra i vicepresidenti e i consiglieri di Lega si sia scapicollato per chiederne la riconferma. Il suo nome, però, potrebbe mettere d’accordo alcuni presidenti altrimenti non facili da gestire come lo stesso Lotito, Enrico Preziosi del Genoa e Massimo Cellino del Cagliari. Possibile anche il sì della Roma, nonostante un accenno di conflitto di interessi: Beretta infatti è dirigente di Unicredit, banca azionista di minoranza del club giallorosso, e proprio a causa di questa dicotomia si era detto disposto a non ricandidarsi.

Sul tavolo, infine, c’è ancora il nome di Ezio Maria Simonelli, commercialista milanese già revisore dei conti in Lega Calcio. Forte dell’appoggio di un big come l’amministratore delegato del Milan Adriano Galliani (ma anche, si dice, del presidente palermitano Maurizio Zamparini) e della moda nazionale di affidarsi ai “tecnici” per uscire dall’impasse politico, Simonelli potrebbe rivelarsi il Papa straniero capace di far convergere su di sè buona parte dei voti se al primo spoglio il fronte dovesse risultare troppo spaccato tra i due favoriti.

Solo a gennaio inoltrato, nominati i due nuovi presidenti, si potranno ipotizzare gli assetti definitivi che usciranno dall’assemblea elettiva di Federcalcio convocata per il 14 del mese. E solo a quel punto capiremo se Abete avrà dalla sua parte la maggioranza delle squadre professionistiche o se invece dovrà guardarsi le spalle. Da chi? Il nome che circola con più insistenza è quello dell’ex calciatore Demetrio Albertini, che nel segreto dell’urna, dicono, potrebbe contare su un fronte di sostenitori molto più esteso e compatto di quello che i suoi detrattori oggi gli attribuiscono.

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