Euro 2012: i miei idoli
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Euro 2012: i miei idoli

4 campioni azzurri che hanno fatto gli europei si raccontano

Gianni Rivera
«Il mio idolo da ragazzino non era un calciatore, a dire la verità. Era Fausto Coppi. Lo consideravo l’atleta per eccellenza: vinceva quasi sempre e tifare per lui mi garantiva enormi soddisfazioni e gioie a non finire. E poi era alessandrino come me, anche per questo era un modello. Se proprio devo nominare un mito del calcio, dico Pelé. Il tempo passa ma il migliore resta il brasiliano, O Rei. Di giocatori bravi ne ho visti parecchi, però nessuno è mai arrivato a meravigliarmi quanto lui, nemmeno Maradona».
Sandro Mazzola
«Da ragazzino ero un tifoso sfegatato di Alfredo Di Stéfano, attaccante argentino (naturalizzato spagnolo, ndr) tra i migliori giocatori della storia: è stato lui a rendere grande il Real Madrid. Lo chiamavano Saeta rubia (saetta bionda, ndr) perché la sua velocità gettava nel panico qualsiasi difensore, ma io amavo in particolare la tecnica sopraffina e il senso del gol: rubava il pallone e si fiondava come un razzo da metà campo, poi serviva assist perfetti oppure, a sorpresa, tirava in rete senza pietà. Figurarsi la felicità di quando me lo sono ritrovato come avversario nella finale di Coppa dei Campioni (l’attuale Champions League, ndr) a Vienna, nel 1964. Nel corridoio, in attesa del fischio d’inizio, lo guardavo in adorazione, completamente imbambolato: “Sandro, cosa fai? Stai lì a fissare Di Stéfano o vieni a giocare?”, mi sono sentito dire in coro dai miei compagni. Be’, il mio contributo alla causa l’ho dato, con due gol: l’Inter vinse il titolo 3-1 e quella fu l’ultima partita di Di Stéfano in maglia bianca. A dire la verità, avevo nel cuore due giocatori. L’altro era Benito Lorenzi, detto Veleno, carattere impetuoso e “fumantino” da toscanaccio doc. Non tanto per le sue doti atletiche ma per quelle umane: fu lui a portare all’Inter me e mio fratello Ferruccio. Il motivo del suo interessamento? Si sentiva in eterno debito con mio padre: capitano della Nazionale, aveva convinto l’allenatore Vittorio Pozzo a metterlo in campo, invece di lasciarlo come sempre in panchina. Mancato papà, assillò la società nerazzurra fino a quando non fummo convocati».
Gigi Buffon
«Sono stato super tifoso di Thomas N'Kono, portiere del Camerun. Ho deciso di cambiare ruolo –prima ero centrocampista – e finire tra i pali a 12 anni, dopo aver ammirato le sue prodezze ai Mondiali del 1990, in Italia: grazie alle sue parate, il Camerun sconfiggeva l’Argentina di Maradona. Da quell’estate, N'Kono è diventato il mio mito e incontrarlo, qualche anno fa, mi ha emozionato parecchio. Come quando ho ricevuto i suoi auguri per la nascita del mio primo figlio (nato il 28 dicembre 2007, ndr): si chiama Louis Thomas in suo onore».
Demetrio Albertini
«Ho cominciato a tirare calci al pallone a 5 anni e Marco Tardelli a metà degli anni Settanta era già un pilastro della Juventus e della Nazionale. Era il mio giocatore preferito per il suo spirito di squadra, oltre che per le sue qualità di centrocampista, il ruolo che ricoprivo io. Inutile raccontare la felicità che ho provato quando ha segnato il secondo gol ai tedeschi, nella finale dei Mondiali spagnoli nel 1982: ancora adesso, se penso alla sua esultanza, culminata in quella corsa folle, mi vengono i brividi».

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Cristina Marinoni