Ecco perché Ancelotti ha vinto la Decima (e Mourinho no)
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Ecco perché Ancelotti ha vinto la Decima (e Mourinho no)

La mano decisiva del tecnico nel successo del Real Madrid: non è entrato in guerra con i suoi campioni. Ma anche Simeone esce tra gli applausi

Le favole esistono ma nello sport, come nella vita, capita spesso che l'incantesimo si spezzi un minuto prima di mezzanotte, un istante in anticipo così che la favola resta tale e non si trasforma in leggenda. Quante volte Simeone e i suoi rivedranno mentalmente la serie di blocchi che ha liberato in area Sergio Ramos, impattando una finale che sembrava ormai destinata? Milioni di volte, anche se il Cholo è pronto per vivere una carriera ricca di vittorie e soddisfazione e un giorno, voltandosi indietro, ricorderà la notte di Lisbona solo come l'inizio di qualcosa di grande. Lui sì, molti dei suoi ragazzi invece hanno visto passare il treno della vita senza riuscire a salirci. Crudele ma bellissimo. E' lo sport. E' la vita.

Ha vinto il Real Madrid perché i valori nel calcio contano. Ha vinto perché Ancelotti, l'uomo giusto al posto giusto dopo che nella rincorsa alla Decima avevano fallito altri maestri come Capello, Pellegrini e Mourinho, nel momento decisivo ha potuto inserire la qualità di Marcelo, Isco e Morata mentre Simeone ha potuto spremere dalla sua panchina solo l'onesto furore di Adrian Lopez, Sosa e Alderweireld. Si è giocato in 14 contro 11, insomma, o anche di più e quando la sfida si è prolungata oltre il 90' per l'Atletico è stato impossibile resistere fisicamente e di testa.

Peccato, perché veder alzare la Coppa ai conchoneros avrebbe avuto mille significati oltre a quello sportivo. Sarebbe stato il triondo di Davide contro Golia, il successo di chi ha un fatturato normale (120 milioni di euro) contro il gigantismo di un club che è potente e rispettato in tutto il mondo, ma che è anche uno dei simboli del calcio-business che sta mettendo in crisi la passione di moltitudini di tifosi. Veder vincere l'Atletico avrebbe dato speranza a tutti. Adesso, invece, basta scorrere l'albo d'oro della Champions League per accorgersi che nell'ultimo lustro solo l'Inter di Mourinho ha vinto non essendo nell'elite delle più ricche: Barcellona, Chelsea, Bayern Monaco e Real Madrid. E anche quella Inter era comunque un'armata messa su con investimenti folli.

Tatticamente Simeone ha battuto Ancelotti. Ha fatto la partita che voleva e gli sono mancati 70 secondi perché fosse perfetta. Carletto l'ha ribaltata con la forza della disperazione (imbottendo la squadra di mezze punte nela ripresa) e un po' di fortuna, perché non si può non essere fortunati quando acciuffi il pareggio in pieno tempo di recupero. Oggi in molti ricordano, rosicando, il "culo" di Ancelotti in coppa. Dimenticano che Carlo arrivò alla finale del 2003 con appiccicata l'etichetta del perdente, reduce da 144 punti in due inutili stagioni con la Juve, e il successo ai rigori fu una sorta di risarcimento posteriore. Poi ha vinto molto ma perso anche tantissimo. Sempre con equilibrio, quello che gli è stato fondamentale per non finire schiantato dalla pressione dell'attesa della Decima.

Raccontano che in settembre i giocatori del Real gli abbiano chiesto udienza per dirgli che nulla andava bene, che Bale e Ronaldo non potevano convivere e che i suoi sistemi non convincevano. Altri prima di lui sono finiti in guerra col mondo madrileno per molto meno. Ancelotti li ha ascoltati, ha cambiato qualcosa e si è tenuto molte delle sue convinzioni. Il risultato finale è che la stagione del Real è svoltata lì e la rincorsa nella Liga non è riuscita solo perché il pensiero di Lisbona ha prosciugato energie e concentrazione. Ha vinto e quindi ha avuto ragione lui. Godiamo un po' anche noi ma con pudore. Non dimentichiamoci che Ancelotti non allena più in Italia da cinque anni e che se ne è andato cacciato in malo modo dal Milan e da Berlusconi. Era il 2009. Sembra un secolo fa.

 

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Giovanni Capuano