Doping, caso Schwazer: Donati sentito dalla Commissione Antimafia
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Doping, caso Schwazer: Donati sentito dalla Commissione Antimafia

"Emerso un quadro imbarazzante": questo il commento del vicepresidente Claudio Fava dopo aver raccolto il racconto del tecnico

Sandro Donati, tecnico del marciatore altoatesino Alex Schwazer, sospeso dalla Federazione internazionale di atletica leggera per la presunta positività agli anabolizzanti, ha testimoniato oggi alla Commissione parlamentare antimafia in seguito alle accuse lanciate sul mondo del doping. Dopo la sospensione di Schwazer Donati aveva infatti rilanciato le accuse: "Prima della gara incriminata ho ricevuto una telefonata in cui si consigliava di far arrivare secondo Alex. C'è gente che vuole condizionare i risultati".

Per questo Donati è stato chiamato a testimoniare a Palazzo San Macuto presso la Commissione Antimafia della Camera dei Deputati: "Credo ci sia un interesse di più procure sull'argomento. Tutti hanno ormai capito il fatto inusitato su una positività a un controllo fatto a gennaio, una sorta di bomba a orologeria riscossa a giugno. Tutto ciò e' assurdo. Per me è il secondo agguato perché ne ho subito un altro 19 anni fa quando seguivo una ostacolista pugliese, Annamaria Di Terlizzi, e fu manipolata la sua urina. Stavolta, probabilmente, l'hanno fatta in maniera un po' più professionale". 

Dopo la deposizione di Donati ha preso parola Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia: "Il professore ci ha raccontato il lavoro fatto in questi anni ed è emerso un quadro abbastanza imbarazzante. Ci ha parlato molto marginalmente della vicenda Schwazer: il punto non è la nuova squalifica ma il modo in cui questa vicenda si inserisce in un contesto assai opaco, ambiguo, vischioso. Di questo è bene farsi carico". "Ci sono molti elementi di opacita' in questa vicenda - ha proseguito Fava - Non solo in Italia. Curvature strane che sfuggono alla nostra comprensione. Oltretutto ci sembra che la vicenda Schwazer possa essere un pedaggio che sta pagando Donati per il lavoro e le denunce fatte nel tempo".

Tra le accuse di Donati anche quella alle istituzioni italiane, accusate di tacere sul caso: "Il sostegno è venuto dalle procure della Repubblica e dalla Commissione parlamentare antimafia mentre dalle istituzioni sportive solo un silenzio assordante e ironie di pessimo gusto. Schwazer è stato descritto come un bipolare, un uomo dalla doppia personalità. Io lo conosco da oltre un anno e chi lo frequenta lo trova un ragazzo semplice, coerente, che non ha nulla di strano. Eppure è stato creato un quadretto: 'Se lo ha fatto in passato lo avra' fatto di nuovo'. In questo modo si cerca di coprire l'enormità di questo controllo antidoping assurdo, con una tempistica che da sola rappresenta la firma dell'agguato".

Ma perché le istituzioni italiane non difendono Schwazer? La risposta di Donati: "Perché non vogliono mettersi contro la Iaaf, un'istituzione internazionale. Mi sono rivolto pubblicamente a Sebastian Coe affinché dia una spallata per il cambiamento: non può lasciare all'interno gente compromessa, gente che ha preso dei soldi per nascondere i casi di doping. Io con questa schifezza non ho niente a che vedere e invece mi ritrovo mail intimidatorie: non mi rendevo conto che allenare Schwazer, un fenomeno assoluto, farlo andare così forte senza doping sarebbe diventata una esperienza esplosiva, destabilizzante. Una iniziativa rivoluzionaria che è stata stroncata".

La conferenza di Schwazer

Ieri anche Alex Schwazer ha parlato in una nuova conferenza stampa a Vipiteno per spiegare la sua verità e rilanciare le accuse: "Sto continuando ad allenarmi perché per vincere alle Olimpiadi non c’è bisogno di doping. Non mi sono dopato, la provetta potrebbe esser stata manipolata".

Il dossier su Capdevielle

Tra le tesi contenute nel dossier della difesa c'è quella secondo cui l’antidoping senior manager della Federazione internazionale, Thomas Capdevielle, avrebbe messo in atto una procedura straordinaria e incomprensibile nei confronti di Schwazer. Il dossier avanza dubbi sull’anonimato della provetta oggetto delle analisi e afferma anche che ci sarebbero stati numerosi punti oscuri nel viaggio compiuto dal contenitore dal momento del prelievo a quello dell’analisi. "Molto strano che una analisi negativa dopo cinque mesi è stranamente diventata positiva" ha spiegato Gerhard Brandstatter, legale di Schwazer che ha chiesto anche l'esame del DNA per verificare l'autenticità dei campioni d'urina incriminati. 

La prima positività

Il 6 agosto 2012 la Wada, agenzia mondiale antidoping, annuncia che Alex Schwazer è risultato positivo all'eritropoietina, ormone prodotto dai reni. Il marciatore è a Londra per le Olimpiadi: viene escluso dal Coni e dalla marcia prevista l'11 agosto seguente. Il Tribunale Antidoping lo squalifica per 3 anni e 6 mesi dopo la sua ammissione di colpevolezza.

La seconda positività

Nel gennaio scorso, la Iaaf (Federazione internazionale di atletica leggera), preleva campioni di sangue e urina ad Alex Schwazer. Mesi dopo, a seguito delle qualificazioni dell'atleta alle Olimpiadi di Rio avvenute l'8 maggio a Roma, si viene a sapere che i controlli evidenziano positività al doping. È bufera: per Schwazer si tratta della seconda volta a distanza di quattro anni ma lui giura: "Mi hanno incastrato". 

L'inchiesta sembra solo all'inizio: "Credo ci siano funzioni e cariche che possono occuparsi della vicenda: dal ministro della Giustizia a quello della Cultura e delle attività sportive, alla Sanità". L'impressione dopo la deposizione di Sanro Donati è quella di un caso intricato e pronto ad esplodere: "Non sembra ci sia criminalità organizzata dietro tutto questo - ha aggiunto Claudio Fava - Sembra ci siano invece poteri forti, interessi e menzogne nel modo con cui le inchieste di doping vengono usate per premiare o per colpire: questo è un sospetto più che legittimo e sul quale occorre muoversi sul piano istituzionale. Il problema del doping è un tema che pesa come una cappa, che ricatta, costringe, occlude e condiziona il mondo dello sport, non soltanto nel nostro Paese. Ci sono organismi internazionali che possono farsene carico, ma per quanto riguarda il Coni, la Procura antidoping e la vicenda degli atleti italiani c'è una responsabilita' e un dovere di vigilanza".

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Matteo Politanò