Diritti tv della Serie A: chi guadagna e chi perde con l'accordo
Getty Images Sport
Lifestyle

Diritti tv della Serie A: chi guadagna e chi perde con l'accordo

Società italiane d'accordo sulla suddivisione dei soldi delle televisioni. Una torta da un miliardo di euro senza vincitori e vinti

Un accordo storico perché quasi mai era capitato che le 20 società della Serie A chiudessero il voto sulla spartizione dei diritti tv all'unanimità e senza nemmeno troppo discutere. Merito del lavoro di mediazione del presidente della Lega, Maurizio Beretta, e forse anche del morso della crisi, che rende i club vulnerabili e bisognosi di avere ricavi sicuri senza infilarsi in battaglie ideologiche e legali come capitato in passato.

Tutti d'accordo e avanti con lo schema già sperimentato nel 2015-2016, quello del punto di incontro tra la necessità delle big di non essere eccessivamente penalizzate e delle piccole di veder scendere il gap con le altre. Non siamo ancora al modello 'socialista' inglese, però le diseguaglianze di un tempo sono state in buona parte cancellate e la pace calcistica diventa anche il viatico migliore in vista del periodo elettorale. Sia in Lega che in Figc, dove si stanno cementando consensi ed alleanze.

ECCO COME VIENE PRODOTTA UNA PARTITA DELLA SERIE A IN TV

Come funziona la suddivisione di base?

Il modello scelto è lo stesso della stagione 2015-2016 e si basa su tre pilastri fondamentali. Il primo e più consistente è quello dell'uguaglianza perché il 40% dei ricavi amdrà suddiviso in parti uguali tra le 20 società iscritte al campionato, senza alcuna differenza tra la più grande e la più piccola. Poi c'è un 30% distribuito in base al concetto di bacino d'utenza: di questa fetta, il 25% è deciso in base a indagini demoscopiche e il 5% calcolandolo sulla popolazione dell'area in cui insiste una squadra.

Infine c'è un 30% legato ai risultati sportivi. Non solo la classifica dell'ultimo campionato (pesa per il 5%), ma un mix di storia del club (10%) e andamento nelle cinque stagioni precedenti al momento della suddivisione dei diritti tv (15%). 

Ma il piazzamento in classifica quanto vale?

La meritocrazia è salvaguardata andando a pescare anche nell'area delle cosiddette "risorse aggiutive", ovvero quei soldi che ogni anno arrivano in più perché il meccanismo triennale della cessione dei diritti televisivi è a salire. Tra il 2014-2015, ultimo col precedente contratto, e il 2015-2016 l'incremento è stato di 69 milioni di euro, distribuiti proporzionalmente tra le prime dieci classificate della serie A nella stagione scorsa con un milione garantito a chi si è piazzato tra l'11° e il 17° posto.

Quest'anno si cambia e gli ulteriori 25 milioni (saranno 49 nella stagione 2017-2018) verranno suddivisi per il 40% in maniera uguale tra tutti e per il 60% andando a premiare chi si piazza tra il 4° e il 17° posto. La ragione? Non dare ulteriori soldi a chi potrà godere del jackpot ricchissimo della Champions League e aiutare la classe media del calcio italiano ad avere risorse da investire.

E chi retrocede? Non prende nulla?

Il sistema prevede anche il paracadute per chi scende in Serie B. Contestato perché rischia di creare situazioni imbarazzanti - come l'interesse a far retrocedere una squadra piuttosto che l'altra -, le società hanno deciso di mantenerlo perché evita il rischio di fallimento economici oltre che sportivi. Il totale è 60 milioni di euro di cui ne vanno 25 se chi retrocede ha militato in A per 3 stagioni nelle ultime 4, 15 milioni in caso di doppia stagione in A e 10 milioni per una singola comparsa nella massima categoria.

Non è detto che tutto il tesoretto venga usato e, se non succede, viene recuperato in altra voce della suddivisione dei diritti tv. Se il Verona dovesse tornare in Serie A già in questa stagione, ad esempio, avanzerebbero i 15 milioni di euro della seconda rata degli scaligeri e verrebbero suddivisi tra le squadre piazzate tra la 4° e la 17° posizione in questo campionato. Un colpo di fortuna per tanti piccoli club.

I più letti

avatar-icon

Giovanni Capuano