De «bello» Olimpico. Giorgio Armani alle olimpiadi di Londra 2012
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De «bello» Olimpico. Giorgio Armani alle olimpiadi di Londra 2012

La disciplina, la forza, l’allenamento, la volontà. E poi la capacità di modellare il corpo e di dominarlo con il pensiero. Insomma, lo sport come metafora della vita raccontato, in immagini e commenti, da uno dei simboli del made in Italy. Che per gli atleti italiani in viaggio verso Londra ha disegnato e preparato un intero guardaroba in bianco e blu.

Suo padre Ugo era un giocatore dell’Edera di Piacenza. Ma lui, Giorgio Armani, da ragazzo, a differenza dei fratelli, al calcio preferiva il cinema, «dove potevo andare appena finite le radiocronache di Nicolò Carosio».

Armani più che uno sportivo fanatico è un idealista dello sport, inteso come sacrificio, esercizio, rigore e anche estetica. «L’eleganza può derivare dallo schema di gioco, dai movimenti del corpo, perfino dalla forza». E naturalmente dalle divise indossate dagli atleti. Quelle che la Nazionale olimpica italiana sfoggerà a Londra porteranno la sua firma. Non è un debutto per la casa: Armani ha già disegnato le divise formali della Nazionale per i Mondiali di calcio Usa ’94. Ma per le Olimpiadi il guardaroba è più articolato, si tratta di un kit di 50 pezzi sportivi e formali, in bianco e blu notte. «È il tono di blu utilizzato fino agli anni Settanta, usandolo ho voluto creare un senso di continuità con la tradizione e esprimere l’idea di eleganza classica. Alla quale ho aggiunto un tocco di patriottismo riportando all’interno delle giacche il testo dell’Inno di Mameli».

Panorama ha chiesto a Giorgio Armani di costruire un racconto per immagini della storia delle Olimpiadi a partire dai primi anni del Novecento. La scelta delle foto, i testi che le accompagnano e alcuni pensieri su temi come la forza nascono dalla sua sensibilità, dal suo gusto e da quell’idea di sport che agli idoli preferisce i campioni.

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di Giorgio Armani
Olimpismo
«Se guardiamo il ritratto del barone francese Pierre de Coubertin, vediamo un uomo dell’Ottocento: baffi foltissimi e sguardo austero. Ma se pensiamo al suo progetto, vediamo un uomo del futuro, che dopo lo shock della guerra francoprussiana sogna una competizione pacifica, un incontro fra nazioni dal quale nasca un sentimento nuovo. Di internazionalismo e valori democratici».

Forza
«Affascina, la forza, e insieme genera turbamento, perché esprime il potere più immediato e personale. Più antico e subito leggibile: quello dei muscoli, che si ottiene pagando il duro prezzo dell’allenamento, per far emergere capacità fisiche sopite. Forza come superamento dei limiti e vittoria
su se stessi».

Nazionalismo
«Applausi. Bandiere. Inni. Il nazionalismo ispirato dalle Olimpiadi è irruente, caloroso, generoso. Ogni nazione vuole essere grande, in uno scontro aperto e leale, dove si contano le vittorie e le medaglie».

1900
«Quante vittorie ci ha dato la scherma. A cominciare da quella di Antonio Conte alle Olimpiadi di Parigi nel 1900 (foto), quando la scherma era ancora vicina al rituale del duello. Tecnica, duro allenamento e un rapporto strettissimo tra maestro e allievo. Ancora oggi l’essenza dello sport».

1920
«Se il legame tra la moda e lo sport è diventato così stretto, lo si deve ai campioni di questo decennio. Come la meravigliosa Suzanne Lenglen (a sinistra, vincitrice dell’oro ai Giochi di Anversa nel 1920, ndr), la tennista francese che si presentò sul campo vestita da Jean Patou, con l’impeccabile gonna di seta bianca a pieghe, lunga al ginocchio, il gilet di maglia senza maniche e la fascia arancione a trattenere i capelli. Mentre la pattinatrice Sonja Hennie, radiosa nei suoi 15 anni, fu la prima a indossare una gonna corta perché le permetteva maggiore agilità di movimento. E nel 1933 René Lacoste, tennista, lanciò le sue magliette con il coccodrillo».

1924
«Eh sì, furono momenti di gloria per Harold Abrahams ed Eric Liddell (foto sopra), i velocisti inglesi, campioni dei 100 e 400 metri a Parigi nel 1924, le cui vittorie furono rievocate negli anni Ottanta nel celebre film diretto da Hugh Hudson. Personaggio straordinario, Liddell fu missionario in Cina e vent’anni dopo la sua vittoria morì in un campo di concentramento giapponese. Se dovessi indicare un simbolo di quel periodo tormentato, sceglierei lui: campione purissimo di quei valori che la guerra cercò di distruggere».

1960
«Per me un’Olimpiade davvero importante, in bilico tra l’esplosione mediatica, con la sua enorme pressione sugli atleti, e i tempi eroici. Fu l’Olimpiade dei miracoli, in una Roma rimessa a nuovo, che splendeva per la sua storia antica. Dove i russi gareggiavano a fianco degli americani, anche se la guerra fredda stava dividendo il mondo in due fazioni opposte. E Cassius Clay (nella foto, al centro), non ancora Muhammad Ali, cominciava con l’oro olimpico la rincorsa ai trofei, simbolo di riscatto».

1988
«Fine di tutte le regole del vestire sportivo, legate a precisi codici. I colori diventano forti, le linee esasperate, l’esibizione del fisico aggressiva. Florence Griffith (tre ori e un argento ai Giochi di Seul 1988, ndr) è il simbolo di questa tendenza che rende le atlete simili a modelle. È il dominio dei capi che scoprono e fasciano il corpo, che non tollerano alcuna imperfezione e che fanno le loro incursioni nella moda di tutti i giorni».

2008
«Protagonista la Cina, che ha sedotto e affascinato con la sua organizzazione, le architetture, la potenza degli atleti. Sono come una vertigine, i numeri cinesi che l’Olimpiade ha messo in evidenza. In uno spettacolo grandioso, che ha legato strettamente la moda allo sport. E senz’altro non è stata un’Olimpiade convenzionale».

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CON L'INNO DI MAMELI RICAMATO NELLA GIACCA

Patriottismo, ma senza ostentazioni, spiega lo stilista. Che racconta com’è nata la collezione olimpica.

Lei ha ideato quasi 50 pezzi per il guardaroba dello sportivo olimpico. Che tipo di libertà creativa le dà la possibilità di disegnare abiti sportivi? L’approccio creativo è ugualmente intenso e personale. Certo, nel disegnare capi sportivi bisogna tener bene a mente la funzione d’uso e le esigenze di comfort e praticità richieste da chi fa sport. È molto stimolante poiché il risultato deve essere la perfetta unione dei materiali tecnici all’avanguardia con lo stile.

Quanto è importante l’aspetto sperimentale nella costruzione di una linea sport?
È un aspetto importante. Perquesto è necessario confrontarsi direttamente con gli atleti che indossano i capi della mia linea sportiva EA7 e possono dare preziosi suggerimenti.

Come è nata l’idea di far ricamare l’Inno di Mameli all’interno delle giacche?
In modo molto naturale. Il momento in cui si intona l’Inno di Mameli, all’inizio di una competizione o in occasione di una premiazione, è molto emozionante e sottolinea il senso di appartenenza al nostro Paese. Mi piaceva dunque l’idea di inserire la prima strofa all’interno dei capi, patriottica, ma senza ostentazioni.

Secondo lei, qual è il pezzo che diventerà l’oggetto del desiderio, tra i 50 disegnati?
La tuta olimpica con l’inno stampato all’interno.

Sarà possibile acquistare i capi olimpici?
Certo. È già possibile acquistare nei negozi e online gli stessi capi che indossano gli atleti. Un modo per sentirsi più vicini ai nostri campioni.

Quale sport segue con maggior passione?
Mi piace lo sport. Quello che seguo con più attenzione è il basket. Sono un gran tifoso della squadra Olimpia EA7.

Come sono gli sportivi: esigenti, critici, fashion victim...
Sono un po’ tutte queste cose insieme, ma in piccole dosi, e questo rende il risultato finale curioso e stimolante. In genere sono molto più attenti al proprio aspetto rispetto al passato, perché sono molto più consapevoli del loro ruolo e di essere seguiti da un grande pubblico.

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Antonella Matarrese