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Anche Calgary dice No alle Olimpiadi. Ecco perché

Sono molte le città che negli ultimi anni hanno detto No ai "Giochi" (non solo Torino). Questioni economiche e di fallimenti

Svanisce il sogno dei promotori canadesi di poter tornare a ospitare le Olimpiadi invernali in patria, in quella stessa Calgary che nel 1988 fu sede della più importante competizione per sport come sci e pattinaggio. Il 56,4% degli abitanti ha detto “no”, confermando l’idea già espressa dal Consiglio comunale della località canadese (8 contrari e 7 favorevoli) ad organizzare i “Giochi della neve”.

A questo punto in corsa per l’edizione del 2026 restano solo a Svezia con Stoccolma e l’Italia con il tandem Milano-Cortina. Ma anche nel paese nord europeo i dubbi sono molti: in assenza di un governo, per l’empasse seguita alle elezioni, l’amministrazione locale, fondata su un’alleanza di centrodestra-verdi, non è convinta dell’opportunità (economica) di affrontare un progetto impegnativo.

Si tratta di una posizione analoga a quella espressa di recente anche da Torino che, guidata dal Sindaco Chiara Appendino, si è sfilata dalla candidatura italiana, esattamente come prima aveva fatto anche la collega di Roma, Virginia Raggi, dicendo “no” a Roma 2024 per le Olimpiadi estive.

Ma perché tanti rifiuti?

I dubbi da Torino alla Svezia

Le perplessità sull’opportunità economica di organizzare un evento come l’Olimpiade invernale sono alla base dell’indecisione anche della Svezia. La candidatura di Stoccolma non può contare su supporto del governo, che di fatto ancora non c’è dopo l’esito incerto delle elezioni. A livello locale, invece, la coalizione di centrodestra e verdi non è convinta del progetto. Il Comitato olimpico svedese, però, insiste e ha rivolto un appello proprio all’amministrazione comunale e regionale, sottolineando come il progetto sia finanziato con il contributo di privati.
La gestione dello sforzo economico, senza fondi statali, è stato anche alla base della decisione della giunta Appendino di ritirarsi dalla candidatura  - ipotizzata inizialmente a tre, con Milano e Cortina - per i Giochi invernali del 2026. A pesare è stato senz’altro l’aspetto politico: Appendino non avrebbe “gradito” le condizioni poste dal Sindaco di Milano, Sala, che rendevano Torino “città stampella”. Ma la giunta torinese non ha neppure nascosto che si sarebbe aspettata un maggiore sostegno economico da parte dello Stato: i costi, stimati in 376,65 milioni di euro, sarebbero stati ritenuti troppo elevati da affrontare senza fondi governativi.

Gli altri “no” ai Giochi 2026

Un altro caso clamoroso di ritiro della candidatura è arrivato da Sapporo. Anche la località giapponese era in corsa per i Giochi olimpici invernali del 2026. Ma lo scorso settembre ha deciso di fare marcia indietro: colpa dei gravi danni causati dal terremoto che aveva colpito la zona, provocando 41 vittime e un costo per la ricostruzione troppo elevato da sostenere in aggiunta a quello di una eventuale organizzazione dell’evento. Dal Paese del Sol Levante hanno comunque tenuto la porta mezza aperta: “La città di Sapporo e il Comitato olimpico giapponese hanno chiarito che rimangono fortemente interessati alla candidatura per il 2030”.

Il forfait giapponese si è aggiunto a quello di Graz, in Austria, e di Erzurum, in Turchia. Nel primo caso la motivazione è sempre la stessa: “Evitare ulteriori spese” aveva annunciato il comitato olimpico austriaco, che non aveva ottenuto l’appoggio del governo della Stiria, di cui Graz è capitale. Nel caso di Erzurum è stato il Cio, il Comitato Olimpico Internazionale, a bocciare l’interesse a ospitare le Olimpiadi da parte della località turca, per mancanza di infrastrutture di base (soprattutto trasporti e telecomunicazioni), la cui realizzazione avrebbe richiesto tempi (e costi) eccessivi.

Non è arrivata, poi, neppure alla candidatura ufficiale Innsbruck, che mesi fa aveva ventilato l’ipotesi, mettendo a preventivo anche un referendum locale come quello di Calgary.

Il precedente: “no” a Roma 2024

In Italia, prima di Torino era toccato a Roma tirarsi indietro, dopo un lungo braccio di ferro con il CONI: l’amministrazione Raggi ha ritenuto che l’Olimpiade di Roma 2024 fosse troppo impegnativa per una città come la Capitale, già alle prese con un dissesto economico che si trascina da anni, con difficoltà quotidiane e, non ultimo, che il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti per le opere. “Sarebbe da irresponsabili” aveva chiarito Raggi nel 2016, a pochi mesi dal suo insediamento in Campidoglio. Nello spiegare la bocciatura a quella che era stata chiamata “l’Olimpiade del mattone” la prima cittadina aveva ricordato il precedente (“Stiamo ancora pagando i debiti per gli espropri di Roma 1960”), aggiungendo: "Ci viene chiesto di assumere altri debiti, noi non ce la sentiamo”.  

Quanto costa organizzare le Olimpiadi

Ospitare un evento come le Olimpiadi, invernali o estive che siano, ha costi enormi che però, secondo gli organizzatori, possono essere ripagati con gli introiti sia nell’immediato che nel lungo periodo, sotto forma di immagine e di infrastrutture che dovrebbero rimanere alla collettività. Ma quanto costano?

Dal 1960 al 2016 (esclusa l’edizione di Rio) le edizioni estive sono costate 5,2 miliardi di dollari, quelle invernali 3,1, solo per quanto riguarda l’organizzazione delle gare sportive, dunque senza considerare le infrastrutture, come realizzazione di strade, collegamenti ferroviari e aeroportuali, ecc.
In tutti i casi, inoltre, il conto finale ha superato le stime iniziali: secondo uno studio di Flyvbjerg, Stewart & Budzier, le cifre esborsate sono state superiori in media del 156% rispetto ai preventivi. Secondo gli analisti ciò accade perché, nel presentare i progetti olimpici, si sottostimano i costi effettivi per esaltare invece il possibile ritorno economico.

Gli stessi studiosi hanno anche sottolineato come uno sforamento nei preventivi sia fisiologico anche nella realizzazione di infrastrutture, ma nettamente inferiore a quello per l’organizzazione di un evento come l’Olimpiade: sarebbe “solo” del 20% per le strade, del 34% per ponti e tunnel e del 45% per le linee ferroviarie. Da qui la conclusione che sarebbe più utile investire direttamente in questi progetti, se l’obiettivo è di poter poi disporre di infrastrutture che restino nel tempo.

Anche nel caso di Roma 2024 una ricerca dell’Università di Tor Vergata, finanziata dal CONI, stimava una crescita del Pil del 2,4% tra il 2017 e il 2023 (sotto forma di maggiori investimenti per opere) per la Regione Lazio e Roma Capitale, a fronte di una spesa di 4 miliardi. La bocciatura non ha permesso, in questo caso, di poter verificare a posteriori.

L’effetto “vetrina”?

Tra i sostenitori dei progetti olimpici in molti ricordano come i Giochi rappresentino un ritorno di immagine positivo per il Paese o la città ospitante. In effetti in molti casi gli studi hanno indicato un aumento dell’export di oltre il 20% per gli organizzatori (Rose e Spiegel, 2011), con ricadute positive anche in termini di maggiori consumi e investimenti. Ma un’attenta analisi sui casi degli anni scorsi su città che hanno ospitato gli eventi olimpici e altre analoghe per economia, che invece non lo hanno fatto, ha portato a invertire il punto di vista: non sono le Olimpiadi in sé a far crescere un Paese, ma è il Paese che, forte di un’economia solida e di un certo appeal, è più portato a candidarsi, come sostengono Maenning & Richter in due differenti studi del 2012 e 2015.

Più turismo?

Anche da questo punto di vista, i numeri dicono che nella maggioranza dei casi le Olimpiadi non portano più turisti: a Londra nel 2012, ad esempio, secondo l’UK Office for National Statistics, si sono registrati 6.174.999 visitatori in occasione dei Giochi, ma l’anno precedente erano stati di più, ossia 6.568.000. Un andamento negativo si è verificato anche a Pechino 2016, mentre l’unica eccezione sembra rappresentata da Barcellona che con i Giochi del 1992 riuscì a far crescere il numero di turisti, passando dalla 13esima posizione nella lista delle località più gettonate alla 5°. Secondo gli esperti, però, questo tipo di risultato si avrebbe soprattutto con località meno note: anche la stessa Calgary, dopo un leggero incremento a ridosso dell’evento sportivo nel 1988, è tornata a stabilizzarsi sui normali volumi di turismo.

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Eleonora Lorusso