Ma quella del Torino che sfortuna è?
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Ma quella del Torino che sfortuna è?

Essere un club con la sofferenza nel dna può essere un limite oltre che un motivo d'orgoglio? L'opinione (a difesa del Toro) di Eraldo Pecci

Per il tecnico Giampiero Ventura, il destino della squadra granata è scritto nelle stelle: “E' il dna del Toro, dobbiamo soffrire”. Eraldo Pecci, ex centrocampista dai piedi buoni nel Torino dei miracoli di Gigi Radice, la pensa allo stesso modo, o quasi.

“Quando si prepara la festa, in genere le cose non vanno mai bene, c'è sempre qualche problema. Quest'anno però è andata meglio di come me l'aspettavo: pensi che credevo di perdere col Parma domenica scorsa. Insomma, l'epilogo ha tardato di una settimana”.

Hanno detto in molti: la squadra granata è vittima di se stessa e del proprio passato. Sfortuna storica oppure approccio mentale perdente che ora la attira?

“Al contrario, secondo me il Toro è fortunato ad avere il suo passato. Se la vogliamo vedere sotto il profilo della storia, è una squadra straordinaria. Se invece la vogliamo vedere sotto il profilo dei risultati, tenendo evidentemente conto che non ha mai avuto grandi possibilità economiche, è una squadra normalissima. Quando ti capita poche volte di giocarti obiettivi importanti, è chiaro che può tremarti il braccino e le cose possono andare a finire male. Andrebbe diversamente se potessi raggiungere obiettivi di prestigio spesso e volentieri, perché in quel caso, per male che vada, qualcuno lo centreresti. E' questione di probabilità”.

Dunque ieri a Cerci è “tremato il braccino”?

“Credo di sì. Nei singoli episodi la sfortuna può dire la sua, ma non basta questo per dire che il Toro è sfortunato. Dico che la squadra di Ventura ha fatto un buon campionato e che le formazioni che si sono giocate l'Europa League si equivalgono. Poteva capitare di rimanere fuori a una oppure all'altra. E' capitato al Toro, ma questo non cambia la sostanza. Io sono comunque contento del campionato che ha fatto la squadra granata”.

I tifosi possono stare tranquilli, quindi, la sfortuna non c'entra.

“Squadre come il Toro sono destinate a patire perché non hanno i numeri per primeggiare. Per questo, quando arrivano in vista del traguardo, arrancano e fanno fatica. Poi, è vero, a volte sembra che la sfortuna ci metta del suo, ma questo significa poco. Tifare Toro è come masturbarsi con la sabbia. L'assurdo è che alla fine pensi che ne valeva la pena”.

Nella stagione 75-76 fu tra i protagonisti dell'ultimo scudetto granata. Dodici mesi più tardi, però, arrivò la batosta che fa ancora male a chi tifa Toro. Juve campione d'Italia per un punto, 51 a 50. Tutto torna?

“Tutto torna, sempre. Se non sei la Juve, il Milan o l'Inter non vinci due campionati di fila. Non è mai successo, nemmeno al Napoli di Maradona e alla Roma di Falcao. E qui la sfortuna c'entra proprio poco”.

Twitter: @dario_pelizzari

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Dario Pelizzari