I perché della crisi del Napoli
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I perché della crisi del Napoli

Risultati negativi, ambiente depresso, tifosi furiosi, allenatore in bilico e persino un presidente contestato

Aurelio De Laurentiis non ha tuonato e, anzi, non si è nemmeno presentato al San Paolo domenica pomeriggio, presagendo aria di bufera e difficoltà per il suo Napoli entrato col piede sbagliato nella stagione dei sogni e dei progetti. In silenzio il presidente e in riposo (premio?) la squadra, perché Benitez - l'altro finito sul banco degli imputati - ha preferito non cambiare il suo stile concendendo il tradizionale lunedì di scarico dopo un impegno di campionato. L'apparente normalità di Napoli nasconde a fatica insoddisfazione e clima pesante di un ambiente scollato come mai.

Oltre al silenzio di De Laurentiis c'è un altro dato che fotografa bene la situazione ed è quello degli abbonati: poco più di 8.000 (dato non confermato) contro i 13.320 dell'anno scorso. Pochi e pure arrabbiati. I cori contro DeLa e Benitez e i fischi alla squadra (tutta, non solo Insigne) sono stati la colonna sonora della domenica.

Il Napoli è ripiombato in fretta nei difetti del passato a partire dal vizio di buttare via punti contro squadre medio piccole. Un anno fa erano stati almeno 23 di cui 11 al San Paolo e il break di Maxi Lopez ha ricordato da vicino la vittoria del Parma dello scorso anno e i pareggi-choc contro Sassuolo, Udinese, Chievo (la bestia nera) e Genoa. O, ancora più crudamente, hanno riportato a galla i fantasmi di una squadra troppo spesso propensa ad approcciare male sfide sulla carta semplici e a faticare nella ricerca di filo logico e tattico. In questo scenario è soprattutto a Benitez che si chiede uno scatto. Il tecnico spagnolo ripartirà dalla questione psicologica, provando ad aiutare i suoi a superare la delusione dell'eliminazione dal preliminare di Champions League che rischia di condizionare tutta la stagione. Però le critiche che gli vengono rivolte in questo momento sono innanzitutto tattiche ed è lì che Rafa dovrà dare le risposte.

Malgrado le promesse dell'estate, ad esempio, il Napoli continua a praticare un solo modulo: 4-2-3-1. Niente variazioni sul tema anche in presenza di evidenti problemi di funzionamento nella fase difensiva. Lo stesso difetto di un anno fa, quando i partenopei chiusero la stagione con 57 gol incassati in 53 gare ufficiali. Davvero non c'è alternativa? E poi la crisi dei fedelissimi del tecnico a partire da Callejon, che non sembra più quello che aveva spinto alcuni top club europei a prendere informazioni in vista di un possibile trasferimento. Lui, Higuain (anche se la prestazione è stata sufficiente malgrado il rigore sbagliato) e Albiol non stanno facendo la differenza e difficilmente il Napoli si può permettere di viaggiare senza il loro contributo.

C'è poi la questione ambientale. Nella vigilia della gara contro il Chievo Benitez ha sferzato tutti provando a trovare al di fuori dello spogliatoio nemici (e stimoli) per ricompattare il gruppo. Alla luce del risultato del San Paolo l'obiettivo è stato fallito. La vera domanda, però, è un'altra: Benitez è ancora convinto del progetto Napoli? Crede nel rinnovo per proseguire il suo lavoro o si sta preparando a un lungo addio? Il passato racconta che i divorzi dallo spagnolo non sono mai stati indolori. Sempre si è presentato come un manager che voleva il controllo su tutto (dal mercato alla ristrutturazione dei centri sportivi) e spesso se ne è andato lasciando alle spalle eredità non in linea con gli investimenti. A Napoli aspetta ancora strutture nuove nel centro d'allenamento che verranno completate nei prossimi mesi. Basteranno per rasserenarlo?

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Giovanni Capuano