Mondiali: il Brasile ha perso anche come nazione
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Mondiali: il Brasile ha perso anche come nazione

Il principale fallimento oltre al 7-1? Non essere riuscito a mostrare di essere "il Paese del presente", come racconta il nostro corrispondente da San Paolo. Anche se la gente ha vinto comunque

Dare i voti al Brasile inteso come nazione è sempre difficile perché, sul globo terracqueo, non esiste probabilmente Paese più contradditorio, che può essere tutto e tutto il suo contrario, fonte inesauribile di gioie e dolori, eterna patria del futuro capace sempre di far 30 ma mai 31, costantemente in pellegrinaggio a Roma ma mai in grado di vedere il Papa, con un popolo da un lato pacifico all’estremo e in grado di ironizzare su tutto (se gli argentini che all'indomani del 7-1 sfottevano i paulisti fossero stati a Milano, sarebbero stati massacrati; i brasiliani si sono invece dimostrati "maestri di vita” come nemmeno i monaci tibetani...), dall’altro capace di commettere 56 mila omicidi lo scorso anno, il 12% di tutti quelli registrati al mondo, una strage silenziosa.

Il Brasile, insomma, è difficile da capire, e ancor di più da spiegare. Cominciamo allora dall’inizio. Un mese e mezzo fa tutti i media, brasiliani e internazionali, avevano due certezze. La prima era che la Coppa in Brasile, organizzativamente, sarebbe stata un disastro: manifestazioni ovunque ("con più gente fuori a chiedere un Paese migliore che dentro gli stadi, non posso accettare l’invito della FIFA", diceva lo scrittore Paulo Coelho), black block che avrebbero messo a ferro e fuoco le città sede, aeroporti nel caos, scioperi che avrebbero bloccato i tifosi su metro, treni e bus immobili impedendo loro di assistere alle partite, mancanza di posti letto in hotel, violenza e - per i tabloid più sensazionalistici - tifosi e tifose rapinati un po' ovunque dall'oltre milione di tossicodipendenti da crack. La seconda convinzione della vigilia era che a salvare la Coppa - o meglio "da Copa das Copas", come si ostinava a definirla la presidente Dilma Rousseff, ovvero il miglior Mondiale di sempre - sarebbe stata la Selecao di giallo canarino vestita.

Oggi, ovvero quasi alla fine della kermesse pallonara numero uno al mondo, la certezza è un’altra: abbiamo sbagliato tutti, in Italia come all’estero e - è innegabile - il vero disastro è stato invece quello della squadra allenata da Scolari, che persino la Federazione calcistica di Tahiti ha preso in giro sul suo sito Internet: "Sappiamo come vi sentite (era stata sconfitta tempo dal Brasile beccando proprio 7 pappine, nda), ma siamo disponibili per un’amichevole".

Dopo il punteggio da tie-break di martedì contro la Germania il Brasile è sotto choc perché subire 4 goal in neanche otto minuti è inverosimile, incredibile e, come hanno giustamente titolato tutti i giornali verde-oro "una vergogna". Vero è che gli 11 scesi in campo contro i tedeschi tutto sono fuorché dei fenomeni (a cominciare dal tanto decantato dal marketing verde-oro David Luiz, lacrime incluse; molto meglio la grinta di Tarcisio Burgnich, senza sponsor ma difensore vero), ma il materiale umano di chi dà del tu al pallone in Brasile è enorme. Dunque - e cominciamo con i voti - un bel 0 (ZERO) alla Selecao. Dopo la vergogna contro i tedeschi ci sta. Uno zero che però coinvolge anche la CBF, la Federazione calcistica verde-oro, che è piena zeppa di personaggi poco raccomandabili a cominciare dal suo presidente Marín, uno che dopo essere andato a braccetto con l’ultima dittatura torturatrice, l’altra sera - prima di scoppiare a piangere come un vitello dopo la sconfitta - non ha trovato di meglio che espellere dagli spogliatoi del Brasile Cafu, l’unico al mondo ad avere disputato tre finali Mondiali.

Peraltro, il nome che circola per succedere a Marín, quello di Del Nero, è anche peggio, mentre chi c’era prima - Ricardo Teixeira - ha più processi alle spalle di Al Capone e chissà quanti ancora davanti a sé, avendo guidato il circo pallonaro verde-oro per 24 anni. In questo bell’ambientino non fanno eccezione gli agenti, a cominciare da quello di Neymar, alias Wagner Ribeiro, che dopo il default ha insultato pesantemente Scolari, dandogli del “vecchio imbecille, arrogante, schifoso, prepotente e ridicolo”. Penoso e volgare come tutta l’organizzazione del pallone brasiliana a cui va uno 0 (ZERO) meritatissimo.

Un dieci con lode (10!), invece, alla gente che ha accolto alla grande anche i tifosi più sfegatati, come quel gruppo di svizzeri che, ciucchi come aquile e seminudi (addosso avevano solo una stuoia rossocrociata), hanno fatto una cagnara infernale sul treno dopo la sconfitta contro l’Argentina. L’avessero fatto a Zurigo sarebbero finiti in carcere, a San Paolo sono stati osannati. E lo stesso dicasi per argentini, olandesi, tedeschi e messicani, che hanno trasformato Copacabana e Villa Madalena in una fiesta senza orari; e pure per i colombiani trasferitisi in massa addirittura in una favela carioca piena di "bed&breakfast" e trattati con i guanti.

Del resto non c’è popolo al mondo in grado di organizzare una festa come il Carnevale di Rio con la precisione dei brasiliani, che in questo Mondiale hanno persino cominciato a imparare l’inglese. Bravi soprattutto i volontari - oltre 20 mila fuori dagli stadi - e il popolo degli spazzini, venditori ambulanti, uomini e donne di fatica delle favelas che hanno reso possibile una straordinaria vittoria: quella che per il turista questo Mondiale sia stato davvero indimenticabile.

Cinque (5) invece a Dilma Rousseff, la presidente che ha voluto mettere un cappello politico al Mondiale parlando di calcio, sport del quale capisce meno di 0 (ZERO). Le ha detto male, anzi malissimo. Perché hai voglia a dire che il 7 a 1 non inciderà sulle elezioni del prossimo 5 ottobre, ma se c’è una certezza è che da sempre il “pane e circo”, ovvero il calcio e la politica, sono legati a filo doppio. Infatti martedì sera a Belo Horizonte il pubblico sul 5 a 0 ha cominciato a insultare la presidente Rousseff – “Dilma, Dilma, vai tomar no c…” – lo stesso coro ascoltato all’apertura in Mondovisione. Nei quartieri poveri, nelle favelas, è forte l’incazzatura, soprattutto dei più giovani, per i soldi spesi per stadi/elefanti bianchi come quello di Manaus. Dilma aveva promesso la "Coppa migliore di tutti i tempi": dopo la bastonata dell’1 a 7 avrà il coraggio di ripeterlo?

Dieci (10) invece alla Polizia di Rio, che è riuscita con un’operazione memorabile, la “Jules Rimet” (ne abbiamo scritto qui ), a scoperchiare il marcio della vendita bagarina dei biglietti per le partite che coinvolge direttamente la FIFA. Se prima del 13 luglio, la data della finale, riuscirà ad arrestare altri papaveri ancor più eccellenti di Ray Whelan (direttore di Match, azienda partner di Phillip Blatter, nipote di Sepp), il dieci si trasformerà in dieci e lode (10!).

Cinque (5) invece al Governo, perché il 40% delle opere pubbliche promesse inizialmente sono rimaste sulla carta e il viadotto crollato a Belo Horizonte che ha ucciso 2 persone ferendone 22 faceva parte delle strutture pubblicizzate per “costruire il Brasile del futuro”. Se le fondamenta sono le stesse, c’è davvero di che preoccuparsi...

La media aritmetica dà però alla fine cinque (5), nonostante l’impegno del popolo, soprattutto quello minuto, più povero, che oltre a offrire l’ospitalità è anche quello che ha sofferto di più per i disagi del Mondiale (250 mila gli sfollati da Coppa), e la precisione delle forze dell’ordine, impeccabili almeno sinora (manca la finale). La colpa dell’insufficienza è dunque soprattutto della squadra e di come è diretto oggi il calcio verde-oro, pessimamente, oltre che di un esecutivo, presidente compresa, che non è riuscito a sfruttare come avrebbe dovuto il Mondiale per mostrare al mondo che, finalmente, oggi il Brasile è il Paese del presente.

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Paolo Manzo