Donne nel pallone. Il primato di Miriam
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Donne nel pallone. Il primato di Miriam

Anni 31, da Arezzo, Miriam Peruzzi è la nuova responsabile degli osservatori del Leonesa, un club della terza serie spagnola. Prima di lei, nessuna mai

Una donna che suggerisce quali giocatori comprare. Non era mai successo prima sul palcoscenico ottuso e pure un po' misogino del calcio internazionale che l'incarico di responsabile degli osservatori di una società professionistica venisse affidato a una rappresentante del gentil sesso. La novità che fa giurisprudenza porta la firma di un'italiana, Miriam Peruzzi, anni 31, originaria di Arezzo ma cittadina del mondo. E' stata chiamata a fare le fortune del Cultural y Deportiva Leonesa, un club che ha sede a Leon, un comune di 130mila anime sulla strada che porta a Santiago di Compostela. L'obiettivo? Vincere e convincere con le idee.

Dalle premesse alla promesse. Come è nata questa opportunità?

“Collaboro da qualche tempo con una società che mette insieme calcio e scuola. Si chiama Gis, Genova International School ed è presente in diversi Paesi al mondo. Per loro, mi occupo di scouting a livello internazionale. Il presidente della Gis mi ha proposto un giorno di diventare la responsabile dell'area scouting in un club nel quale lui è molto presente, il Leonesa, ed eccomi qui, pronta a fare il mio meglio per raggiungere i traguardi che la squadra spagnola si è posta per il prossimo biennio, vale a dire la promozione nel campionato superiore, la Segunda Division, la nostra Serie B”.

Prima di lei, nessuna mai.

“Nel calcio le donne ricoprono quasi esclusivamente ruoli manageriali: sono presidentesse oppure addette stampa o amministrative. Vero, ci sono anche procuratrici, ma è un'altra cosa rispetto al mio nuovo impegno, che richiede una grande sensibilità nel comprendere e guidare le dinamiche psicologiche dell'atleta. Le donne, in questo, sono spesso più brave degli uomini”.

Quali sono le qualità più importanti che cerca in un giocatore?

“La testa, prima di tutto. Deve avere la capacità di trovare la serenità e la concentrazione in un ambiente molto diverso da quello che era abituato a frequentare. E se per i calciatori africani questo discorso vale probabilmente ancora di più perché il loro è un contesto originario particolare, va anche detto che ormai il calcio moderno propone una preparazione tecnico-tattica che non è più così distante rispetto al passato da un Paese all'altro e dunque è sempre più l'equilibrio mentale che può fare la differenza”.

La sua Africa. Lei seguirà da vicino gli atleti del Continente nero.

“Ghana, Benin, Nigeria, Costa d'Avorio e Senegal, tutta la fascia dell'Africa equatoriale, ecco dove andrò a scovare di persona i talenti da portare in Spagna. La ragione è presto detta: i giocatori più talentuosi del continente africano provengono soprattutto da quei territori”.

Poi, il resto del mondo.

“Sì, sono la responsabile di cinque osservatori che mi gireranno le loro segnalazioni dagli altri continenti, Europa compresa, ovviamente”.

Prima di accettare l'incarico al Leonesa, conosceva la realtà del calcio spagnolo di seconda fascia?

“Assolutamente, no. Credo però che non ci saranno grandi problemi, perché in questo mondo l'importante è essere professionali e comportarsi nel modo opportuno, seguendo le logiche del Paese in cui si va a lavorare. Il gioco del pallone, in fondo, è lo stesso in tutto il mondo”.

Ha già messo a segno qualche colpo?

“Almeno un paio di giocatori africani verranno a provare a Leon. Voglio vedere come risponderanno alle sollecitazioni dell'ambiente e alla preparazione, che soltanto quando sarà finita ci fornirà precise indicazioni in merito alle necessità della squadra. Abbiamo due formazioni, la A e la B. Troveremo il modo di rendere competitive entrambe”.

La squadra A giocherà nella Segunda Division B, un campionato paragonabile, almeno nelle coordinate di massima, alla nostra Lega Pro.

“Vero, ma con dinamiche più intense. Perché il general manager del Leonesa è un ex arbitro internazionale ed è molto preciso. Insomma, non si sgarra di una virgola, come è giusto che sia”.

La squadra B invece parlerà italiano.

“Sì, ho voluto con me in questa nuova esperienza un tecnico di assoluto valore, Guglielmo Ginocchi, che l'anno scorso ha allenato nella Serie B maltese. L'ho chiamato perché è un esperto nell'analisi dei dati-partita. In Italia un lavoro simile lo fanno soltanto nei grandi club, mentre io sono convinta che sia utilissimo. Lo penso da sempre: gli strumenti moderni vanno usati nel modo migliore possibile”.

Se tutto andrà per il verso giusto, presto o tardi qualche società di casa nostra potrebbe bussare alla sua porta.

“Ho deciso io di non lavorare in Italia, ne avrei già avuto la possibilità. Cosa non mi ha convinto? La distinzione sottile eppure determinante tra giocatore straniero ed extracomunitario. Un calciatore tedesco e africano dovrebbero essere uguali anche per la legge del calcio, invece non è così. Almeno, non nel nostro Paese perché in Spagna questa distinzione non c'è. Se cominciamo a mettere le barriere non si va da nessuna parte, né nel mondo del pallone né nell'economia. Lo dice una persona che oltre a fare questo mestiere fa l'imprenditrice. Ho un'azienda in Italia e una in Benin, mi occupo di intermediazione per aziende che sviluppano il loro business all'estero. Non voglio essere fraintesa. Amo il mio Paese, ma non è possibile che le persone valide siano costrette a emigrare altrove per trovare le soddisfazioni che cercano”.

Twitter: @dario_pelizzari

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Dario Pelizzari