Corea del Nord: alta tensione con Pechino
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Corea del Nord: alta tensione con Pechino

Le pesantissime sanzioni ONU pesano sul rapporto tra Pyongyang e Beijing. La Cina non si fida più dell’alleato

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La Corea del Nord, nell’annunciare stamani l’abrogazione di “tutti gli accordi di non aggressione con la Corea del Sud”, ha voluto anche sottolineare di aver tagliato “la linea rossa di collegamento telefonico con Seul”. Sembra l’inizio di un romanzo di John Le Carrè, invece è solo l’ennesimo fatto di cronaca che colora un’altra giornata fallimentare nei rapporti diplomatici tra il Paese asiatico e la Comunità internazionale. Ma questo capitolo è particolarmente pesante da digerire stavolta, sia per le cancellerie occidentali, sia per la Repubblica Popolare di Cina. Il tema in oggetto è sempre lo stesso: la deterrenza all’uso di armi di distruzione di massa, siano esse missili balistici o nucleari, da parte di Pyongyang.

Il momento non è dei migliori: Iran e Israele tengono alta l’attenzione sul nucleare, dopo che Tel Aviv ha annunciato che lancerà con certezza un attacco preventivo nel caso in cui Teheran interri i propri impianti. Il leader venezuelano Chavez è morto in circostanze misteriose (a detta del suo delfino Maduro) dopo che aveva iniziato a interessarsi all’energia atomica, in seguito al suggerimento di Putin affinché Caracas si dotasse di centrali nucleari.

È vero che la tecnologia militare coreana ha fatto progressi notevoli, ma è noto che i suoi missili balistici non riuscirebbero oggi a raggiungere gli Stati Uniti, suoi “nemici giurati” – i quali neutralizzerebbero subitaneamente un eventuale attacco grazie alle basi antimissilistiche attive in California o in Alaska.

È evidente allora che Pyongyang, attraverso questi annunci, abbia solo inteso fare la voce grossa di fronte all’inasprimento delle sanzioni delle Nazioni Unite promosse dagli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza (giusto ieri al Palazzo di Vetro sono state approvate all’unanimità nuove durissime sanzioni).

Per quanto nessuno creda seriamente alle minacce velate circa un ipotetico attacco nucleare preventivo (primo obiettivo sarebbe comunque la Corea del Sud, considerata dal Nord l’avamposto americano in Asia), ciò nonostante in questo modo i nordcoreani tengono ostaggi della paura numerosi Paesi del mondo.

Perché, dunque, continua questo teatrino? Ovviamente, il nucleare è da oltre sessant’anni la leva preferita da usare nei momenti di difficoltà. Stavolta, però, tra le righe il giovane Kim Jong Un ha voluto lanciare un messaggio diretto al suo principale partner: la Cina.

Il rapporto con la Cina

Kim vorrebbe che il suo alleato comunista si schierasse apertamente a suo favore ma la Cina è troppo prudente per forzare la mano, rischiando di danneggiare seriamente il proprio ruolo di grande potenza ormai acquisito nel contesto internazionale. Anche perché Beijing non si fida affatto del figlio del “caro leader”.

I cinesi, sin dal primo giorno d’insediamento del leader nordcoreano, hanno istruito il loro ambasciatore in Corea del Nord, Liu Hongcai, affinché monitori la reale distribuzione del potere in Corea del Nord, e ottenga risposte certe dalle fonti interne all’esercito per capire se il giovane Kim eserciti il potere autonomamente (cosa alquanto pericolosa per la Cina) o se sia allineato ai suoi generali, già da tempo fedeli alla Cina.

Non è un caso che Liu sia stato assente durante la morte del vecchio leader coreano, poiché in ballo c’erano le divergenze di opinione tra i servizi segreti cinesi (di cui l’ambasciatore fa parte) e il ministero degli esteri. Liu deve aver giocato bene la sua parte: del resto, è un esperto di intelligence che ha superato prove difficili come la spy story in Giappone, al tempo in cui egli era il vice dell’ambasciatore cinese a Tokyo, che fu poi trovato morto in un bordello.

Beijing si è convinta che la Corea del Nord sia sotto il suo controllo. Eppure, l’atteggiamento temerario di Kim Jong Un indispone la Cina perché non è garanzia di sicurezza e, adesso, la costringe anche a modificare il rapporto economico tra i due. Le sanzioni internazionali che sono state comminate, infatti, sono le "più pesanti mai adottate dalle Nazioni Unite", come ha voluto sottolineare l'ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro, Susan Rice.

Il documento prevede il divieto di export con la Corea, il congelamento delle operazioni finanziarie e di tutti quegli accordi commerciali e dei servizi che, in un modo o nell’altro, potrebbero contribuire ai programmi nucleari e missilistici della Corea del Nord.

Vero è che la Cina è una potenza mondiale e il suo commercio raggiunge capillarmente tutto il globo ma le economie regionali restano un punto fermo, anzi una base irrinunciabile per qualsiasi potenza mondiale. Dunque, non si può permettere di allentare i flussi economici che transitano attraverso la Corea del Nord.

Non solo, il problema si estende anche a uomini e mezzi: per la prima volta, infatti, anche il personale diplomatico di Pyongyang sarà messo sotto controllo, soprattutto per quanto riguarda le attività bancarie e i trasferimenti di fondi illeciti, e renderà più difficile muovere i fondi. Inoltre, gli Stati sanzionatori potranno/dovranno ispezionare il personale e le merci considerate sospette che passano per il loro territorio. Ciò significa la possibilità di ispezionare aerei e navi, ritenuti potenzialmente utilizzabili per violare l’embargo.

Già da un paio di settimane, i funzionari nordcoreani sono stati visti portare in giro grandi valigie piene di contanti per il trasferimento di fondi illeciti. Ma vale davvero la pena fare questa vita? Se per Pyongyang la risposta è affermativa - è una questione di sopravvivenza - per la Cina tutto ciò è solo un problema. A meno che non decida una volta per tutte di fagocitare l’intero Paese.

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