Il calcio Usa, Toronto e l'affare (per) Giovinco
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Il calcio Usa, Toronto e l'affare (per) Giovinco

La Major League Soccer è un movimento con soldi e ampi margini di crescita: parola di Roberto Gotta, attento osservatore dello sport d'oltreoceano

E' notizia di ieri: Sebastian Giovinco, anni 27, torinese di nascita e juventino nel dna, ha deciso che a fine campionato lascerà l'Italia per iniziare l'avventura nella Major League Soccer a stelle e strisce con la maglia del Toronto. Per convincerlo, gli amministratori del club canadese gli hanno messo sotto il naso un contratto che nemmeno Alex Del Piero: 9 milioni di euro per 4 anni. La risposta è arrivata nel giro di qualche giorno. Ciao ciao Juve, il tempo di fare i bagagli e la Formica atomica prenderà l'aereo che lo trasporterà in un contesto completamente diverso da quello di casa nostra, fuori e dentro i campi da pallone. Per Roberto Gotta, giornalista eperto di sport americani e collaboratore di Fox Sports, oltre il calcio, c'è di più...

Se lo chiedono in tanti: come è possibile che Giovinco, riserva non proprio di prima fila nella Juventus, abbia potuto ricevere una proposta così vantaggiosa da un club canadese?
"Intanto, va detto che quella corrisposta a Giovinco è una cifra molto alta anche per la Mls. Ma il giocatore è nel pieno della sua carriera, ecco perché hanno deciso di pagarlo così tanto. In questo momento negli Stati Uniti si parla più di lui che di Kakà, che invece ha deciso di giocare nella Mls quando il meglio l'aveva già dato altrove. Dove nascono ingaggi così ricchi? Possono permettersi di pagare stipendi così alti grazie alla tv, che elargisce montagne di quattrini. Le cose sono cambiate. Negli Usa, c'è una regola, la blackout rule, che impedisce la trasmissione di una partita di Nfl (football americano) nell'arco di 120 chilometri dalla città dove si tiene la gara. L'obiettivo è chiaro: far sì che gli appassionati vadano allo stadio. Bene, stanno pensando di abolirla, perché risale al periodo in cui le squadre dipendevano economicamente dagli incassi al botteghino, che oggi coprono una minima parte dei bilanci dei club. Ed è un fenomeno, quelle delle tv, in continua espansione".

Dalla Serie A alla Mls: tutta un'altra storia.
"Dietro al suo trasferimento, ci sono senza dubbio ragioni sportive legate al peso che il giocatore ha avuto nella Juventus, la squadra nella quale è cresciuto e che l'ha reso popolare in tutto il mondo. Ma ci sono anche elementi non calcistici che a mio parere rischiano di deflaglare in senso positivo molto presto. In generale, per un atleta europeo lo sport americano è una vera e propria rivelazione. Perché negli Stati Uniti si vive meglio. Certo, la logisitica è massacrante, ma questo vale soprattutto per i giocatori di pallacanestro. Da quelle parti è diverso l'approccio: ti lasciano in pace, non devi guardarti le spalle per strada, se sbagli un rigore non ti tagliano le ruote della macchina e gli ultras non ti chiedono un colloquio chirificatore se le cose non vanno bene. Insomma, tutto un altro modo di intendere lo sport e i suoi protagonisti".

E poi c'è il business...
"Gli stipendi dei calciatori della Major League Soccer sono sempre assicurati dalla Lega, che coordina tutto nei minimi dettagli e definisce le regole d'ingaggio anche per chi gestisce le squadre. Sì, perché nella Mls non esistono quelli che da noi vengono chiamati proprietari. Sono più degli investitori, che decidono di aderire alle proposte della Lega e accettano di seguire procedure molto severe in tema di bilancio. E' un controllo centralizzato. Le decisioni importanti vengono prese dai vertici della Lega, non dai boss delle società. Nel caso di Giovinco poi, a Toronto c'è una grande comunità di italiani, che certo non vedono l'ora di seguire le partite del fenomeno di casa con la maglia della loro squadra del cuore. E' un ambiente ideale per un giocatore come lui, ancora nel pieno della carriera, al contrario di molti altri giocatori che sono arrivati negli States dopo aver superato i trenta".

Fino a qualche tempo fa, il massimo campionato statunitense veniva considerato una destinazione ricca e colma di risvolti positivi anche e soprattutto per giocatori prossimi alla pensione. Ma negli Stati Uniti ne sono sicuri, le cose stanno cambiando.
"E' proprio così, le cose stanno cambiando. Dico di più, un ragazzo europeo potrebbe già pensare di giocare a pallone negli States prima ancora di provare ad trovare spazio nel calcio professionistico italiano. Perché negli Usa le opportunità per fare strada sono tante. Qualche giorno fa ho raccolto l'esperienza di un giovane di casa nostra che ha deciso di andare da quelle parti per studiare e giocare a calcio. Grazie alle sue qualità da calciatore, ha vinto una borsa di studio per frequentare un college prestigioso. Se non dovesse riuscire a diventare un professionista potrebbe comunque trovare il modo di sfruttare il suo titolo di studio. E' una carriera che una volta non esisteva e che oggi merita di essere considerata".

Si alza il tiro. Dopo la "fuga dei cervelli", la "fuga delle gambe"...
"Considerando come vanno le cose nel nostro Paese e come è probabile che possano andare nei prossimi anni, c'è da andare di corsa in un posto del genere".

Dopo il Mondiale del 1994, erano molti a scommettere sulla definitiva consacrazione del calcio negli States. Eppure, lo dicono i numeri, è stato un mezzo fallimento. Questa volta andrà diversamente?
"I segnali sono chiari. Nel 2006 fui costretto a seguire la partita della Champions League tra Juventus e Arsenal al ristorante della Espn a New York, vicino a Times Square. Non c'erano altre possibilità, o la vedevo lì, oppure nulla, difficile trovarla altrove. Ora se sei in una qualunque stanza d'albergo made in Usa nel fine settimana, accendi la tv e puoi vedere le partite della Premier League e della Liga spagnola. Negli ultimi anni, moltissimi canali nazionali hanno deciso di trasmettere il calcio europeo e non solo. Ecco cosa è cambiato. Una rivoluzione epocale. L'anno scorso ho visto nel Bronx un autista di autobus con la sciarpa del Manchester United. Non sarebbe mai successo nel 1994 e nemmeno nel 2004. Oggi moltissimi americani sanno chi è Pirlo. Chi l'avrebbe mai detto? Fino a pochissimo tempo fa la popolarità del Superbowl non aveva rivali, era l'evento in assoluto più seguito negli Usa. Eppure, ormai da qualche tempo la finale della Champions League sta crescendo in modo esponenziale. Tutti elementi che mi portano a pensare che sì, questa volta andrà diversamente".

Le logiche (e i regolamenti) della Major League Soccer sembrano molto simili a quelle degli altri grandi sport a stelle e strisce, dalla pallacanestro al baseball. Vincono spesso i club che lavorano meglio, a prescindere dal conto in banca.
"E' la differenza fondamentale tra il calcio di casa nostra e gli sport Usa. E a volte mi viene da credere che il calcio sia lo sport più magico al mondo. Per un motivo semplice: se prendiamo come esempio la Serie A, in ogni campionato ci sono al massimo 4 squadre che possono vincere lo scudetto, eppure gli appassionati sono sempre tantissimi. Invero, negli Stati Uniti, i tifosi di tutte le squadre professionistiche sanno che mantenendo la calma presto o tardi capiterà a loro di fare festa. Perché tutte le società partono da una base di partenza, anche economica, molto simile. In questi giorni fa notizia la vittoria dei New York Knicks, che non vincono il torneo Nba da 40 anni ma non perché da allora non avessero la possibilità di investire come le squadre avversarie, bensì perché hanno fatto scelte sbagliate. Da noi, i giocatori più bravi vanno alle solite note. Se non è la Juve, è il Milan, oppure l'Inter, la Roma, magari il Napoli. Stop. Ecco perché dico che il calcio italiano, e più in generale europeo, è magico. Perché può contare sulla felicità di persone che lo seguono anche se sanno che non vinceranno mai".

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Dario Pelizzari