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Maurizio Lagana/Getty Images
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Addio Emiliano Mondonico, ribelle e allenatore di un calcio romantico

Morto a 71 anni. Da calciatore preferiva un concerto alla partita, fu artefice della favola Cremonese, passò alla storia per la sedia alzata ad Amsterdam

Emiliano Mondonico, storico allenatore morto all'età di 71 anni dopo aver combattuto una lunga battaglia con il cancro ha rappresentato molto per il calcio italiano pur non avendo il palmares ricco di tanti colleghi. E' stato uno e centomila lungo tutta la sua carriera, iniziata da calciatore nella provincia lombarda e finita da tecnico a Novara quando già il male lo aveva aggredito. Talento naif, spirito ribelle, uomo capace di intuizioni e folgorante nella battuta.

Coraggioso nel voler raccontare a tutti la sua lotta per la vita, le quattro operazioni dopo le ricadute, la speranza di non dover mollare. Un simbolo in cui gli amanti del pallone si sono spesso riconosciuti sin dall'inizio e che ora viene pianto nel momento della morte. Mondonico non è mai stato allineato. Anzi. Raccontarlo tenendo dentro tutte le sue molteplici anime è difficile, forse impossibile In tutte, però, ci sono state umanità e grandi qualità.

Talento ribelle da calciatore

Nato calcisticamente nella squadra di Rivolta d'Adda, suo paese natale, Emiliano Mondonico ha vestito le maglie di Cremonese, Torino, Monza, Atalanta e soprattutto Torino. Spirito ribelle, ruolo atipico alla Gigi Meroni, ha chiuso senza la soddisfazione di vincere nulla se non campionati minori ma non per questo senza aver lasciato il segno. Lui stesso amava raccontare di aver mal utilizzato una parte del suo talento, ma di non essersene poi pentito più di tanto.

Parlava della sua carriera da calciatore con la stessa leggerezza con cui, poi, avrebbe raccontato il resto della sua parabola. Aveva confessato di aver preferito un concerto dei Rolling Stones a una partita della Cremonese. Aprile '67: squalificato apposta pur di poter scappare al Palalido per mischiarsi ai suoi coetanei.

Mondonico sedia Amsterdam Ajax-Torino Coppa Uefa finaleEmiliano Mondonico ad Amsterdam, durante la finale di Coppa Uefa del 1992 giocata contro l'Ajax - 29 marzo 2018ANSA/YOUTUBE

L'immagine simbolo della serie nel cielo di Amsterdam

Certamente è stato molto più da allenatore che da calciatore. Il punto più alto lo ha raggiunto sulla panchina dell'amato Torino, di cui incarnava spirito e passione: Coppa Italia vinta nel 1993 e la celebre finale di Coppa Uefa persa (senza essere battuto sul campo) contro l'Ajax nel 1992. L'ora e il giorno che hanno consegnato alla leggenda l'immagine iconica del Mondo, con la sedia alzata sopra la testa a protestare in mezzo allo stadio De Meer di Amsterdam per un rigore non concesso ai granata che avrebbe cambiato la storia sua e del club.

Rigore che, avrebbe poi confessato più avanti, gli sembrava netto, ingiustizia impossibile da cancellare. Quell'immagine è diventata il suo marchio di fabbrica e ha spinto i tifosi del Toro ad alzare una sedia in segno di solidarietà quando Mondonico ha scoperto di essere fragile e malato.

Da allenatore è stato anche l'artefice della bella favola della Cremonese, restituita alla Serie A dopo oltre mezzo secolo. La squadra del giovane Vialli che giocava un calcio bellissimo per estetica ma poi, contro i grandi, perdeva quasi sempre. Poi l'Atalanta (promozione in Serie A e semifinale di Coppa delle Coppe), il Napoli, la Fiorentina (altra promozione nella massima divisione) e i giri finali in provincia. Mai la grande chiamata, altro cruccio ben celato.

La coraggiosa lotta contro la malattia

Nell'inverno 2011 la scoperta di un tumore allo stomaco "grande come un pallone da calcio". Il momentaneo ritiro, la paura e il dolore dell'incertezza, le operazioni e la rinascita. Aveva scelto di raccontare a tutti il suo calvario per farsi simbolo della lotta contro una male che definiva "non invincibile". Non si era tirato indietro mai, nemmeno dopo il ritorno del tumore e nuove tappe di una vicenda dolorosissima e piena di speranza.

Era diventato apprezzato opinionista televisivo. Arguto, diretto, mai banale. Si era fatto amare da tutti anche in queste terza vita che portava avanti vivendo nella sua campagna lombarda circondato dagli animali. Si era dedicato anche agli altri: ambasciatore del Csi (Centro Sportivo Italiano), sempre in prima fila nel farsi promotore di iniziative per i giovani in difficoltà, bisognosi di una seconda chance nella vita. Generoso. Anche per questo il mondo del calcio lo piange, simbolo di uno sport romantico che non c'è più e persona profonda che è impossibile racchiudere in un solo ricordo.

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Giovanni Capuano