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ANSA/ANGELO CARCONI
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Di Francesco e l'ultima spiaggia della Roma (per colpe non solo sue)

Discusso da inizio stagione, salvato da Monchi che ha sbagliato il mercato, sopportato da Pallotta. Contro il Porto è la notte del giudizio

Eusebio Di Francesco va alla sfida di ritorno con il Porto come un condannato verso il patibolo. Nella migliore delle ipotesi conquisterà la qualificazione ai quarti di finale della Champions League e sposterà solo più in là la linea dell'ultima spiaggia. Nella peggiore chiuderà in Portogallo la sua avventura sulla panchina della Roma, esito che pare comunque scontato a fine stagione comunque vada.

Se esiste un modo per complicarsi la vita alla vigilia di una gara fondamentale dal punto di vista sportivo ed economico, la Roma lo ha trovato: mettere pressione sull'allenatore, prolungarne la sensazione di precarietà e caricare di significati ulteriori una sfida che già da sola si porta in dote tutte le motivazioni del mondo.

Di Francesco ha molte colpe nell'andamento altalenante della squadra. Non può disgiungere il suo lavoro dai risultati di un gruppo che sta rendendo sotto le attese e che a inizio marzo è già uscito sconfitto dal campo ben 10 volte su 35 partite. Però Di Francesco non è l'unico colpevole e, anzi, per alcuni versi sembra la vittima finita nel tritacarne di un ciclo interrotto con un futuro segnato per lui e per molti altri dentro il club.

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Le colpe di Di Francesco

E' vero: Di Francesco ha la colpa di aver perso malissimo un derby e di aver scritto una pagina nera della storia della Roma facendosi travolgere dalla Fiorentina in Coppa Italia. Ha la colpa di aver fatto un deciso passo indietro in classifica, di rischiare di stare fuori dalla zona Champions League vitale per i programmi della società e di aver faticato troppo a trovare il filo del gioco.

E' stato a lungo fermo sulle sue convinzioni tattiche, ha provato ad adattare i nuovi arrivati al suo 4-3-3 finendo in larga parte per bruciarli così come accaduto un anno fa con il dualismo Dzeko-Schick. Un integralismo che ha spesso penalizzato le potenzialità del gruppo.

Ha sofferto tanto e in alcuni momenti è parso non avere in mano lo spogliatoio. Quando ha chiesto reazioni concrete, non sempre le ha ottenute anche se va ricordato che nei momenti clou dell'annata è riuscito a uscire dalla trappola e a garantirsi nuova vita. Almeno fin qui.

Le colpe degli altri

Ma le colpe del tecnico finiscono qui, prima che comincino le responsabilità degli altri. Il mercato estivo è stato quanto di più lontano ci potesse essere rispetto alla Roma arrivata in semifinale di Champions League l'anno scorso: trequartisti, centrocampo indebolito, meno leadership e la sensazione di dover ricominciare da zero invece che consolidare il lavoro fatto bene.

Come in un eterno ritorno al punto zero, Di Francesco ha dovuto reinventare la Roma con la differenza, rispetto all'estate 2017, delle aspettative della piazza più grandi visti i risultati in Europa. E' stato protetto da Monchi, meno dal club perchè le frecciate di Pallotta da Boston si sono sentite puntuali ad ogni passo falso.

Ha valorizzato Zaniolo con un'intuizione di cui la Roma e il calcio italiano dovranno ringraziarlo a lungo. Si è fatto parafulmine ben oltre i propri demeriti, è comunque in corsa per stare nelle migliori otto del calcio europeo e se dovesse anche centrare il quarto posto potrebbe paradossalmente raccontare di aver raggiunto gli obiettivi prefissati dal club.

Non è facile vivere con la valigia in mano, perennemente pronti a dire addio. Di Francesco lo sta facendo e l'ultima prova sarà tenersi stretta la panchina sotto gli occhi di Paulo Sousa che si è candidato senza troppo mistero a prenderne il posto. Chi vicino a DiFra lo descrive stanco. Anche fosse, difficile dargli torto...

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Giovanni Capuano