'Cori razzisti? Pronti a evacuare lo stadio'
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'Cori razzisti? Pronti a evacuare lo stadio'

Giro di vite allo stadio dopo il caso Boateng. Lo spiega un poliziotto che gestisce l'ordine pubblico a San Siro

La normativa, in realtà, esisteva già dal 2007, ed era nata dopo la morte dell’ispettore Filippo Raciti, il poliziotto deceduto in servizio durante gli scontri fra tifosi davanti allo stadio di Catania. Nessuno, però – finora - l’aveva mai applicata. Né in Italia, né in Europa.

E’ stato quello che le cronache hanno già ribattezzato “il caso Boateng” a far tornare alla ribalta la procedura che prevede, in caso di episodi razzisti all’interno di uno stadio, una “terapia d’urto” che può portare fino allo stop vero e proprio della partita di calcio e all’evacuazione dell’intero stadio. Dopo gli insulti a sfondo razziale ricevuti dal calciatore rossonero Kevin Prince Boateng durante l’amichevole Pro Patria-Milan a Busto Arsizio, infatti, la Federcalcio si è riunita con i vertici della Polizia di Stato per ribadire un giro di vite nei confronti dei tifosi autori di episodi di razzismo, antisemitismo o qualsiasi genere di intolleranza. Pena, appunto, la sospensione della partita.

Ma che cosa succederà, in pratica, negli stadi italiani, dopo questo ennesimo caso di razzismo? E come reagirà la Polizia di Stato se dovesse verificarsi un altro “caso Boateng”?  Lo spiega a Panorama.it Fabrizio Fucili, a capo del GOS (Gruppo Operativo Sicurezza) della Questura di Milano, il gruppo composto da funzionari appartenenti a diversi corpi e dai rappresentanti delle varie società di calcio che - istituito a fine anni Novanta - vigila sulla sicurezza negli stadi.

Innanzitutto ogni singola partita, dalla più piccola alla più grande – precisa il poliziotto  – viene gestita da noi già diversi giorni prima dell'evento, analizzando le eventuali criticità che possono riguardare la tifoseria o altri pericoli”. Quindi, il match viene tenuto sotto controllo dai componenti del GOS all’interno di una sala dotata di telecamere che riprendono nei dettagli l’intero stadio.

Potrebbero essere gli stessi funzionari, infatti, ad accorgersi attraverso il monitoraggio di eventuali cori o striscioni razzisti. Oppure, a segnalarli, potrebbero essere gli stessi giocatori durante la gara. “Il più delle volte - spiega il dirigente del GOS – visto che si tratta di cori contenuti ci limitiamo a intimare i tifosi, attraverso gli altoparlanti, di smettere. E quasi sempre basta questo”.

Gli ultimi episodi, a San Siro, risalgono allo scorso dicembre. Quando l’Hellas Verona è stata condannata a pagare 7mila euro di multa per via di cori razzisti, o quando durante il match Inter-Napoli alcuni tifosi nerazzurri intonarono slogan offensivi nei confronti dei partenopei.

Affinché, infatti, si arrivi alla vera e propria sospensione della partita, con tanto di evacuazione degli spettatori, come spiega anche il vice presidente operativo dell'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, Roberto Massucci, la normativa prevede che “il sentimento razzista prevalga nell’intero stadio”. In pratica: non bastano piccoli gruppi che inneggino a frasi razziste, ma a parteciparvi deve essere buona parte del pubblico. In questo caso scatta il piano: se a captare i cori razzisti è uno dei giocatori, è lui stesso a informare l’arbitro, che a sua volta avverte il "quarto uomo" e quest’ultimo informa il dirigente di ordine pubblico. Colui a cui spetta la responsabilità di interrompere la partita.

La cosa più delicata, a questo punto, è l’evacuazione dello stadio, che sarà gestita dal GOS. “Lo stadio di San Siro contiene 80mila persone – spiega Fucili – facile intuire dunque che sarebbe un’operazione molto delicata, perché non bisogna far incontrare gli “ospiti” con i tifosi "di casa” e tutto va fatto con estrema delicatezza per non creare disordini”. Una circostanza che però, appunto, finora, non si è mai verificata in sei anni. “Un deflusso improvviso – ricorda il funzionario – è successo, ma non a San Siro, per esempio il giorno in cui morì il giocatore del Livorno Piermario Morosini. Ma mai, fino ad ora, per cori razzisti”.

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Arianna Giunti