Dite ad Alfano che anche a Livorno fu Daspo collettivo

Dite ad Alfano che anche a Livorno fu Daspo collettivo

Segui Blucerchiando su Facebook e Twitter E’ stata una settimana difficile per il calcio italiano. Prima gli scontri dell’Olimpico, poi le polemiche e l’ipocrisia sul mondo ultras, infine le dichiarazioni di Angelino Alfano: “Al via il Daspo collettivo”. L’attenzione è …Leggi tutto

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E’ stata una settimana difficile per il calcio italiano. Prima gli scontri dell’Olimpico, poi le polemiche e l’ipocrisia sul mondo ultras, infine le dichiarazioni di Angelino Alfano: “Al via il Daspo collettivo”. L’attenzione è tutta focalizzata su “Genny la carogna”, l’Ivan Bogdanov napoletano che ha concentrato titoli e servizi di tutta la stampa italiana. Ecco così che di fronte al crimine di una sparatoria tutto il tifo ultras viene messo sullo stesso piano, la minaccia diventa da allarme rosso e lo stesso termine “ultras” si trasforma nel dispregiativo di tifoso. E’ la follia di chi vuole conoscere solo una parte della medaglia, quella più sporca e capace di far breccia nell’opinione pubblica. A poco importa, come fatto notare dai tanti portali vicini al tifo doriano, se al sabato di Napoli – Roma sia seguita la domenica di Parma – Sampdoria. A pochi interessa controbattere alle pallottole con gli esempi di Ultras e Boys, impegnati da anni nella lotta contro la tessera del tifoso a favore delle trasferte libere.

Il gravissimo episodio di cronaca che inizialmente non era “collegabile al mondo del tifo” è invece diventato spunto per una nuova tabula rasa nei confronti del tifo organizzato. L’impressione, già avuta in passato, è però quella che in pochi tra politici e prefetti abbiano colto la reale portata di un movimento che non può essere limitato solo ad un fenomeno generatore di violenze e problemi di ordine pubblico. Basterebbe cercare una visione più ampia, approfondita, sviscerare quel che davvero rappresenta e produce il tifo organizzato in Italia. Sarebbe l’unico modo per guarire un cancro senza uccidere il paziente.

Perché il movimento ultras non è l’antitesi del tifo ma la sua essenza più vera.

Quali saranno le soluzioni dopo la finale di coppa Italia? Risponde Alfano: “Un inasprimento in tre direzioni. Ci saranno provvedimenti collettivi. Non vogliamo colpire solo il capobranco, ma tutto il branco. Se responsabili di un reato da stadio sarà un gruppo di persone, si agirà su tutti contemporaneamente. Inoltre stiamo lavorando anche su Daspo preventivo e sulla recidiva. Nel senso, che chi è già colpito da provvedimento continua a delinquere, potrà essere allontanato fino a otto-dieci anni dagli stadi”. Peccato che il Daspo collettivo sia già stato applicato in altri casi, tutti rivelatisi a rischio contrasto con la costituzione italiana e con la convenzione europea sui diritti dell’uomo. Anche in questo caso basterebbe aver dato spazio sui media ad un caso recente e scandaloso ma non abbastanza virale: i 93 Daspo di Livorno – Sampdoria.

In quell’occasione la prefettura di Livorno comandò 92 provvedimenti ad altrettanti tifosi della Sampdoria accusati di aver raggiunto lo stadio Picchi senza tessera del tifoso seppur con regolare biglietto. I doriani furono rispediti a casa e dopo diverse settimane furono notificati 93 provvedimenti (uno identico all’altro e senza numeri di protocollo) con le stesse accuse,  peccato che tra di loro ci fossero anche sampdoriani con tessera del tifoso e altri che nei luoghi indicati dai Daspo non erano neppure passati. A liberare i 93 dalle accuse ci ha pensato poi il TAR di Toscana, con una sentenza che sostiene la tesi della difesa: il Daspo non può prescindere dal puntuale accertamento della responsabilità di ogni singolo.

Un Daspo collettivo risulta quindi una giustizia sommaria e anticostituzionale che rischia di provare a risolvere il problema della violenza tramite un’illegittimità radicale nei provvedimenti. Lo spettro profilato da Alfano è quello di una pioggia di Daspo collettivi sui tifosi italiani senza elementi oggettivi e con addebiti generici rivolti ad un gruppo di persone. Della serie “non importa cosa fai, importa con chi sei”. A Livorno fu infatti contestato alla Questura di “colpire indiscriminatamente i tifosi che si sono avvicinati allo stadio senza neppure sapere quali di essi – e se alcuni di essi – avessero commesso i comportamenti asseritamente riscontrati e altrettanto asseritamente lesivi alla sicurezza pubblica”. Inoltre è importante sottolineare come in occasione di Livorno – Sampdoria non si registrarono scontri e/o episodi di violenza di alcun tipo.

Quel che è accaduto a Roma è vergognoso e merita giustizia immediata. Quel che tristemente risulta è però che a pagare rischia di essere tutto il movimento del tifo organizzato, lo stesso che per i fatti di cronaca (di questo si tratta) viene trascinato per le caviglie nel poleverone mediatico. E non importano le distinzioni, l’uso delle parole giuste, l’utilizzo dei contesti. Meglio creare una rumorosa caccia alle streghe con l’obiettivo di creare un nemico comune, il tifoso ultras che spara. A Genova, come in mille altre realtà, gli ultras non sparano. Se lo fanno vanno chiamati criminali, e i criminali vengono arrestati. Punto. Per il resto il termine ultras potrebbe essere utilizzato per spiegare le teorie contro il calcio moderno, verificare l’utilità dei gruppi organizzati nei momenti del bisogno (alluvioni, raccolta fondi, beneficenza), mettere in guardia dagli esempi negativi pur risaltando le eccezioni. Invece vogliono rendere tutti colpevoli di essere nella zona sbagliata dello stadio, sperando che prima o poi tutti si arrendano al divano e alla tv.

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Matteo Politanò