Bruno Pizzul, la voce come un abito blu
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Bruno Pizzul, la voce come un abito blu

Perché si può commentare una partita di calcio anche senza urlare

“Partiti”. Ma come, così, in una notte afosissima di mezza estate? Così, all’improvviso: “Partiti”. Anche la gara si presta, ha un che vintage Hajduk Spalato-Inter, il viaggio di coppa all’est, magari un po’ fuori tempo rispetto al passato quando di coppe si cominciava a parlare a metà settembre. Però quel: “Partiti”, senza nemmeno saperlo prima. Bruno Pizzul, le telecronache le comincia così, quando la palla si nuove dal dischetto di centrocampo.Non ci sono preamboli gonfi di immagini, scanditi veloci da una voce battente come un mitragliatore, non c’è clima da ultima spiaggia, la tensione che si spalma perfino nel Trofeo Birra Moretti.

Pizzul inforca i suoi occhialini, cavalca la sua vociona nasale da magnifico settantaquatrenne e accompagna la partita come un valzer. Perché non sempre servono i decibel del rock per raccontare lo sport, mentre Fabio Caressa il capostipite dell’ “altra telecronaca” è lontano, a Londra, a raccontare con impegno, ma ci pare con sempre maggiore imbarazzo l’affondamento del Titanic del nuoto. C’è poco da gridare lì, in effetti.

A Spalato invece c’è Coutinho che segna “con un colpo da biliardo” e ancora Handanovic “che si accartoccia a bloccare il pallone”. Attenzione, non siamo proprio di quelli che si stava meglio quando si stava peggio, che prima era tutto più bello e anche il calcio era un’altra cosa. Proviamo a seguire i tempi e la naturale evoluzione della specie, con interesse quasi naturalistico. Tanto che nulla abbiamo contro gli strillatori, di principio, salvo non trasformare ogni partita di calcio in una specie di guerra santa e qualunque tiro sbilenco in una clamorosa occasione da gol. Insomma, quando cadono nel ridicolo diventano sì, un po’ patetici. Comprendendo che l’ordine di scuderia è quello di far brillare come oro l’ottone che si è comprato per troppi soldi.

Bruno Pizzul invece ha il pregio di essere senza tempo, non è ancora e non sarà mai la caricatura di se stesso e di un calcio che non esiste più. Lo racconta, ora come faceva prima, ne segue il ritmo più intenso senza diventarlo anche lui per forza, più intenso. Come un bell’abito blu che non ti farà mai sentire fuori luogo. Siamo anche dell’idea che la figura del telecronista, almeno da noi, sia un po’ troppo gonfiata, enfatizzata, esposta a critiche: molti hanno la coda di paglia del tifo sempre accesa. Chi racconta non è attore protagonista, semmai una guida turistica e se proprio si prova fastidio ci si allontana dal gruppo con un click, silenzio o effetto stadio, ormai si può tutto. Il telecronista è un po’ come l’arbitro: il migliore è quello che non si nota. Bruno sarebbe stato un grande fischietto, senza bisogno di andare a prendere un the caldo ogni volta che c’è l’intervallo.

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Carlo Genta