Omicidio Bergamini, la svolta investigativa
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Omicidio Bergamini, la svolta investigativa

Primi indagati per omicidio a 24 anni dalla morte del giovane calciatore cosentino. Dietro la riapertura del fascicolo un'autopsia rivelatrice, tanti dubbi irrisolti, l'ombra del calcioscommesse e della criminalità organizzata.

L’orologio di Donato Bergamini non si è mai fermato. Sono trascorsi quasi 24 anni da quando avrebbe dovuto farlo e, se la morte dell’allora centrocampista del Cosenza non fosse una tragedia, ci sarebbe materiale in abbondanza per uno spot pubblicitario: un orologio che continua a funzionare dopo che il ragazzo che l’aveva al polso si è gettato sotto un camion in corsa, che dopo averlo schiacciato sotto le ruote e trascinato per qualche decina di metri è infine ripassato sopra il suo corpo con una goffa retromarcia. Prodigioso. Niente, nemmeno uno slabbro al cinturino o un graffio sul vetro del quadrante. Il tempo ha continuato a correre imperterrito come Denis, questo il suo soprannome, faceva tutte le domeniche in campo. Fino a quella morte assurda, arrivata su uno stradone di periferia proprio mentre era all’apice della fama e della forma: una morte catalogata troppo in fretta come suicidio.

La conferma è arrivata un paio di giorni fa, quando (come anticipato dal Fatto Quotidiano e dalla Gazzetta dello Sport) la procura di Castrovillari, che aveva riaperto il fascicolo sulla morte di Denis nel 2012, ha iscritto le prime persone nel registro degli indagati con l’ipotesi di omicidio.

Top scret finora i nomi delle persone coinvolte, anche perchè per ora la questione è squisitamente tecnica: Denis Bergamini non può essersi suicidato perché, in base ai nuovi rilievi effettuati dai Ris di Messina, era già morto quando finì sotto le ruote di quel camion. Anche il perito Roberto Testi ha confermato che il calciatore era già privo di vita quando è stato travolto dal camion sotto al quale per anni si è voluto far credere che Denis si fosse lanciato. Secondo Testi il suo corpo inerme era invece già stato adagiato in precedenza sull’asfalto della statale 106. Bergamini, dunque, è stato ucciso prima e altrove. Ma da chi? E perché? Il calcio ha un ruolo in questa storia? Naturalmente spetterà alla magistratura il compito di stabilirlo. Le modalità della sua esecuzione, se saranno confermate dai passi successivi dell’inchiesta, rimandano effettivamente a un certo tipo di rituale malavitoso. Se riavvolgiamo il nastro, poi, non è difficile notare altre circostanze e coincidenze inquietanti.

Siamo nell’autunno del 1989, il muro di Berlino non è ancora crollato (ma è questione di giorni), un litro di benzina costa 1.360 lire, i numeri sulle maglie vanno dall’1 all’11, le partite si giocano tutte in contemporanea la domenica pomeriggio, ma il pallone ha già perso la sua innocenza. Denis, ferrarese di nascita, ha ventisette anni e da quattro stagioni è un punto fermo del centrocampo del Cosenza. Nel campionato precedente, la squadra, appena promossa dalla serie C1, centra un inatteso sesto posto in B. L’entusiasmo della piazza è alle stelle, perchè a Cosenza stanno allestendo una squadra capace di puntare al vertice. Gli abbonamenti volano e le puntate al totonero anche. A inizio stagione praticamente l’intera tifoseria rossoblu ha scommesso qualche biglietto da diecimila sulla salita in serie A dei suoi beniamini.

Il problema è che in Calabria totonero vuol dire soprattutto ’ndrangheta. I galoppini della cosche Lanzino e Ruà, che controllano la piazza cosentina, hanno fatto il pieno: in città si parla di una raccolta di quasi un miliardo di lire, ma se l’estate successiva la squadra farà davvero il suo ingresso trionfale in serie A, saranno costretti a restituirne in vincite quasi il triplo. Quello che per molti appare come la realizzazione di un sogno covato per anni, insomma, agli occhi dei clan rischia soltanto di essere una perdita secca.

L’inizio di stagione, comunque, è ottimo. Poi succede qualcosa. In città cominciano a girare strane voci: partite vendute, personaggi poco raccomandabili che si fanno vedere intorno al campo di allenamento e all’albergo che ospita la squadra, giocatori e membri dello staff che per colpa di qualche vizietto sarebbero finiti nelle mani dei clan, addirittura l’ipotesi di un traffico di droga coperto grazie alle trasferte. Denis è estraneo a qualsiasi giro sporco, ma è sveglio: non può non accorgersi di quello che sta succedendo. E infatti riferisce più volte i suoi sospetti al padre e al massaggiatore della squadra, Giuseppe Maltese. L’ultima partita prima della sua morte, Denis Bergamini la gioca il 12 novembre 1989. Il Cosenza è impegnato in trasferta a Monza. Sulla carta non c’è gara, invece finisce con uno scialbo pareggio per 1-1: in campo e sulle tribune sono in molti a sentire le urla del centrocampista all’indirizzo dei suoi compagni, colpevoli a suo dire di non impegnarsi troppo. L’indomani, mentre trascorre il suo giorno libero nell’abitazione di famiglia in Emilia, riceve una telefonata: una volta messa giù la cornetta, il padre lo vede estremamente preoccupato.

Pochi giorni dopo, la sera del 18 novembre 1989, il calciatore che aveva fatto innamorare una città verrà trovato «suicidato», davanti alle ruote di un camion carico di mandarini che viaggiava sulla statale 106 per Taranto, all’altezza di Roseto Capo Spulico. Unici testimoni del fatto Raffaele Pisano, l’autista del mezzo, e Isabella Internò, fidanzata di Denis. Denis e Isabella erano arrivati nel luogo dell’incidente in macchina, una Maserati bianca che Denis forse avrebbe fatto meglio a non comprare. Verrà fuori più tardi che il calciatore l’aveva acquistata poco tempo prima da un malavitoso, ignorando che l’auto nascondesse due doppi fondi nel baule posteriore e al di sotto del serbatoio, come quelli che si usano per trasportare la droga. Altre ombre, altri possibili moventi. Perché l’unico affiorato dopo la morte di Denis, un colpo di testa dovuto forse a motivi passionali, pare proprio non reggere.

Il verbale dell’epoca contiene solo le dichiarazioni di Isabella Internò e dell’autista, che non hanno mai cambiato versione. Quel giorno a Cosenza, in allenamento, c’erano da definire gli ultimi dettagli tattici per la partita contro il Messina del giorno dopo. Poi Bergamini sarebbe andato al cinema con il suo compagno di squadra Michele Padovano, come facevano sempre per rilassarsi prima di un match importante. Invece alle 15.30 riceve una telefonata che evidentemente lo turba, perché lascia immediatamente il ritiro e passa a prendere la sua fidanzata. Stando alla testimonianza di lei, Denis dice di essersi stufato di quel mondo, che andrà a Taranto per imbarcarsi, che vuole raggiungere il Brasile o le Hawaii. Lechiede di accompagnarlo. Lei rifiuta. Si fermano in una piazzola di sosta, litigano a lungo, finché il calciatore non si getta sotto le ruote di un camion in arrivo dalla carreggiata opposta: «Ti lascio il mio cuore», la sua ultima frase.

L’autista disse di aver sentito lo schianto e i lamenti, ma di non aver visto immediatamente il corpo: così, pensando che Denis potesse essere ancora vivo dopo averlo trascinato per circa sessanta metri, avrebbe fatto retromarcia schiacciandolo una seconda volta. Eppure il numero 8 cosentino presentava un solo segno di schiacciamento, sulla parte destra dell’inguine. Ma questo i Ris lo scopriranno soltanto dopo aver riesumato il cadavere, perché all’epoca i giudici non ritennero necessario effettuare un’autopsia. Mentre gli abiti che Bergamini indossava al momento dell’impatto, invece di essere riconsegnati alla famiglia, finirono subito nell’inceneritore del più vicino ospedale.

I misteri sulla morte del giovane Denis, ai quali la nuova inchiesta penale sta tentando di dare una risposta, non si esauriscono qui. Perché dopo l’incidente Isabella, una volta raggiunto un bar lungo la strada, prima di chiamare i soccorsi telefona all’allenatore del Cosenza Gigi Simoni e al compagno di squadra di Denis Francesco Marino? Perché non furono effettuati rilievi né sul camion, subito riconsegnato al conducente, né sulla sede stradale? Perché la Maserati di Denis fu accuratamente lavata il giorno dopo? E da chi?

Non finisce qui. Nel dicembre 1989, Domenico Corrente, uno dei magazzinieri del Cosenza, spedì ai genitori di Denis Bergamini le scarpe di pelle che il calciatore indossava al momento dell’incidente: erano come nuove. Cosa c’è dietro quella riconsegna? Corrente e Alfredo Rende, un altro factotum della società calabrese, promettono alla famiglia di raccontare loro tutta la verità a fine stagione. Non ci riusciranno mai, perché il 3 giugno 1990 finiranno anche loro vittime di un misterioso incidente, ancora sulla statale 106.

Alla fine del campionato 1989-90, privo del contributo del suo centrocampista più talentuoso, il Cosenza naturalmente non riuscì a centrare la promozione in serie A. Con quel miliardo incamerato grazie alla scommessa vinta, probabilmente la ’ndrangheta pose le basi per la sua crescita successiva. Oggi, a dodici anni di distanza, le cosche in città sono più forti che mai. Il Cosenza, invece, gioca in Lega Pro. Ma la Curva Sud dello stadio San Vito porta il nome di Denis. Almeno questo.

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Gianluca Ferraris

Giornalista, ha iniziato a scrivere di calcio e scommesse per lenire la frustrazione accumulata su entrambi i fronti. Non ha più smesso

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