Toto Forray Trento
Sara Ruaben
Lifestyle

Basket: l'Aquila Trento in campo con i rifugiati

Alla vigilia della Final 8, Toto Forray racconta l'impegno del suo club per integrare in città una ventina di richiedenti asilo

Il 4 febbraio, Dolomiti Energia Trentino ha avviato il progetto di responsabilità sociale "One Team One World", lanciato a inizio stagione da Euroleague Basketball per promuovere i valori positivi della pallacanestro. L'iniziativa che il club ha intrapreso riguarda un gruppo di ragazzi richiedenti asilo che vivono da qualche mese nell'area di Trento.

Spiega il capitano degli "Aquilotti" Toto Forray, classe 1986, nominato ambasciatore di "One Team One World": "L'obiettivo non si limita ad avvicinare i ragazzi alla nostra disciplina, è molto più ampio e di valore. E' infatti previsto un impegno da parte di tutti affinché i ragazzi si sentano bene accolti qui in Italia, possano socializzare tra loro e imparino la lingua, mezzo indispensabile per integrarsi nella comunità".

Come si svolge l'attività in palestra? 
"Il 'maestro' è coach Nenad Jakovljievic, che lavora nel nostro settore giovanile. L'appuntamento è ogni giovedì, in una palestra di Trento, per un'ora e mezza senza pensieri, di puro divertimento. Io raggiungo il gruppo appena posso: tra allenamenti, partite e trasferte, non riesco a essere presente tutte le settimane, purtroppo. Dico 'purtroppo' perché è un'esperienza splendida, che apre il cuore. E un po' mi fa tornare al 2003...".

L'anno in cui ti sei trasferito in Italia dall'Argentina...
"Esatto. Certo, la mia storia non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella di questi ragazzi, le loro sofferenze e le tragedie che hanno vissuto e vivono tuttora non hanno uguali, però anche io sono arrivato qui da solo a 17 anni,. La mia famiglia era rimasta in Argentina e non parlavo una parola in italiano: non è stato immediato ambientarmi, insomma".

Quanti sono al momento i profughi coinvolti nel vostro progetto di solidarietà?
"Superano la ventina. Hanno dai 18 ai 25 anni e provengono da Afghanistan, Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Pakistan, Senegal e Somalia. Il contatto tra loro e il club è avvenuto tramite Atas e Centro Astalli, due associazioni locali che assistono i rifugiati. Sono molto fiero di sare il mio contributo a questa operazione e sono onorato dell'incarico che la nostra società di basket mi ha affidato. Sapere che sono un punto di riferimento mi inorgoglisce e spero di essere all'altezza del ruolo".

Che clima respiri, quando ti trovi sotto canestro insieme a loro?
"Splendido, perché c'è grande entusiasmo. Credo che i ragazzi traggano enorme giovamento da quei momenti di gioco. Sarà anche perché stanno imparando (quasi tutti non avevano mai preso in mano una palla a spicchi nella loro vita), ma sono molto attenti e ci mettono l'anima, nonostante lo sforzo considerevole. Capirci non è facile, ci aiuta il linguaggio universale del basket. Lo sport è un mezzo di aggregazione incredibile e insegna anche un sacco di lezioni utili fuori dal campo".

Puoi farci un esempio?
"Ogni seduta in palestra si sviluppa su un fondamentale. Quando abbiamo spiegato e dimostrato il passaggio, il collegamento con la vita di tutti giorni è stato immediato: l'uomo è nato per 'passare la palla', andare incontro al prossimo, per questo biosgna chiedere aiuto, quando ci si ritrova in difficoltà. Il segreto è giocare di squadra e non solamente durante un match. Essere solidale con chi soffre e aiutarlo come si può gratuitamente, senza aspettarsi nulla in cambio".

Oltre agli allenamenti, avete organizzato altri eventi per coinvolgere ancora di più i "ragazzi"?
"Sì. Tanto per cominciare, hanno sempre un certo numero di posti sugli spalti nei nostri incontri casalinghi di Serie A: di solito li occupano tutti, sono diventati dei tifosi accaniti e la loro partecipazione calorosa dimostra che stiamo svolgendo un buon lavoro. Per adesso guardano, ma ad aprile toccherà a loro scendere in campo per la prima partita e allora invertiremo i ruoli... Io non mancherò di certo al loro debutto: sarò lì per caricarli, applaudirli e abbracciarli quando suonerà la sirena".


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Cristina Marinoni