La primavera del basket (senza tv)
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La primavera del basket (senza tv)

I playoff stanno avendo un successo inatteso, eppure la pallacanestro non ha ancora una casa (in tv) per il prossimo anno

Una spremuta di sangue sportivo e adrenalina pura. Di fatica e consunzione agonistica. Il senso vero della primavera sportiva italiana sta tra due canestri. Chiunque non sia banalmente monotematico, tutti quelli che non hanno staccato la spina dopo il novantesimo della Serie A, se ne sono accorti, finendo ogni sera sui canali satellitari della Rai a divorare sensazioni violente di basket.

Ora qualcuno penserà di avere avuto ragione ad allungare le serie a sette partite. Sbagliato e non cambiamo idea. Nemmeno davanti ai playoff più arrapanti degli ultimi dieci anni. Preferiamo la pallacanestro alla violenza di squadre frustate oltre i loro limiti fisiologici e numerici. Ieri sera a Varese ne abbiamo avuto solo l’ennesima dimostrazione. La squadra che ha dominato la stagione regolare e che ha avuto il cuore e le palle di trascinare la lunghissima, infinita Siena all’ultimo respiro, se la è dovuta giocare senza il suo capo dei tabelloni Dunston, massacrato da infortuni e fatica. E alla fine quasi senza giocatori per arbitri che non hanno capito, forse senza neppure troppe colpe, lo spirito della crudeltà di queste partite da ultimo sangue.

La finale per lo scudetto sarà tra la squadra che ha massacrato la fantasia e l’incertezza negli ultimi sette anni, riducendo il basket italiano a un romanzo da supermercato, e un’altra che nella logica delle cose non doveva esserci più.

Roma nove mesi fa era scomparsa, sotterrata da spese enormi e sbagliate, da un gigantismo senza senso, da troppi soldi e troppe parole. Ha chiesto al suo giocatore simbolo – Gigi Datome – di tagliarsi di un terzo lo stipendio. Ha richiamato un allenatore abituato a vivere nel sottobosco, Marco Calvani. E ha risvegliato uno spirito che dormiva da trent’anni. Impossibile non avere la curiosità e il cuore per vedere dove andrà a finire questa storia. Lo scopriremo dove ci ha portato il telecomando negli ultimi venti giorni, ogni sera, troppe sere per avere senso sportivo vero, quasi crudeltà gratuita comandata dalla Lega che guarda al centesimo a scapito della lira. Dell’euro.

Tanto che per colmo di paradosso, la pallacanestro italiana ora, al vertice del suo fascino, nel trentennale del primo oro europeo e con  un altro promettente campionato d’Europa alle porte (settembre in Slovenia), non ha una casa televisiva.

Non sappiamo in questo momento dove potremo guardare il basket, qualunque basket, nella prossima stagione. Sappiamo che Mediaset ha preso i secondi diritti della Nba: questo significa una partita la domenica sera su Italia Due. Il resto è fumo e nebbia. In questo senso di precarietà da gatti randagi quali siamo da sempre noi dei canestri, figli della notte che negli Anni Ottanta trasmetteva a ore da luci rossi indimenticabili partite di Coppa Campioni, andiamo verso una finale che nessuno avrebbe immaginato. E che sarebbe bello, sempre per paradosso, veder decidere nell’ultimo quarto di una assurda gara sette. Poi se qualcuno lo vorrà, saremo qui, con il telecomando in mano.

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Carlo Genta