NBA: perché così tanti infortunati?
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NBA: perché così tanti infortunati?

Risponde Marco Bigoni, medico dell’Olimpia Milano, che dopo quello dell'Mvp Kevin Durant spiega l'epidemia di stop nel basket americano

Con l’infortunio di Kevin Durant (frattura da stress al piede destro) l'NBA allunga ulteriormente la sua lista degli infortunati, e riapre la questione, tuttora irrisolta, degli eccessivi carichi di di lavoro ­a cui vengono sottoposti gli atleti della massima lega di basket americana.

Infatti oltre all’MVP della scorsa stagione, che starà fermo per circa due mesi, sono tanti i giocatori – vedasi Kobe Bryant, Derrick Rose e lo stesso Danilo Gallinari – che negli ultimi tempi sono stati costretti a lunghi stop per infortuni di diversa natura ed entità, ma il cui unico comune demoninatore pare essere lo stress da sovraccarico, oltre che l’evoluzione di uno sport sempre più fisico e di contatto.

Ma davvero nell’NBA è in corso un’epidemia di infortuni? Abbiamo girato la domanda a Marco Bigoni, responsabile dello staff medico dell’Olimpia Milano e specialista in ortopedia dell’Ospedale San Gerardo di Monza. 

Dottor Bigoni, perché secondo lei negli ultimi tempi è aumentato il numero di infortuni nell’NBA?

“Innanzitutto credo che si debbano fare dei distinguo. La frattura da stress (quella capitata a Durant, ndr) è presente in tutte le discipline che richiedeno una grossa mole di attività fisica ripetuta, una di queste è la maratona. Dato il livello di professionismo raggiunto, il basket, soprattutto negli Stati Uniti, è diventato uno degli sport a rischio”.

Eppure fino a qualche tempo fa non se ne sentiva parlare così frequentemente…

“Vero, ma nella traumatologia dello sport la frattura del metatarso del piede o della tibia (che ha costretto Ginobili a saltare gli scorsi Mondiali, ndr) sono infortuni frequenti. Credo che molto dipenda anche dall’attenzione mediatica che oggi viene riservetata gli atleti”.

Si riferisce al caso di Danilo Gallinari?

"La sua è stata una rottura del crociato anteriore come se ne vedono moltissime. Quello che ne è scaturito successivamente (con alcune polemiche dovute a una riabilitazione più lunga del previsto, ndr) non dipende in nessun modo dalla tipologia di infortunio". 

Nessuna epidemia quindi?

“Attenzione, esistono dei trend in crescita dovuti ad alcune modificazioni dell’ambiente in cui si pratica la disciplina”. 

In che senso?

“Per esempio sono cambiati i materiali. Nel calcio i campi in sintetico generano, rispetto al passato, molte più lesioni al crociato che caviglie distorte. Senza considerare l’aumento del contatto fisico durante le partite, che determina ovviamente molti più infortuni traumatici”.

Quello che sta accadendo nel basket…

“Ciò che sta cambiando sono in parte, come detto, le patologie da sovraccarico, per via di preparazioni atletiche sempre più dure e calendari a ritmi serrati, con squadre che giocano anche tre partite a settimana. Ma soprattutto sono aumentati i traumi dovuti a un eccesso di contatto fisico. Il gioco negli ultimi vent’anni è cambiato drasticamente, non solo in senso atletico ma anche per quanto viene permesso dal punto di vista dei contatti”.

Nel senso che gli arbitri lasciano correre di più?

“Prima di tutto è una questione di atletismo e velocità del gioco, entrambe in crescita. Il fatto che poi venga lasciato più spazio ai contatti, anche per questioni di spettacolo, genera necessariamente più traumi. Da questo punto di vista viene utile, di nuovo, il paragone calcistico. Basti pensare a cosa accade durante un calcio d’angolo, con 18-19 giocatori in area di rigore che si strattonano e si bloccano, proprio come nel basket, tra di loro. In queste situazione è naturale che il rischio di infortuni diventi altissimo". 

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Teobaldo Semoli