Dan Peterson: "Volare basso è lo schema vincente per il basket italiano"
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Dan Peterson: "Volare basso è lo schema vincente per il basket italiano"

Il coach vede l'Olimpia Milano sulla strada giusta per tornare allo scudetto e analizza il futuro di un movimento in dichiarata crisi economica

Avendo contribuito non poco a farla, Dan Peterson non poteva mancare alla presentazione del libro di Werther Pedrazzi sulla storia dell'Olimpia Milano. E noi non potevamo non approfittare della situazione per una chiacchierata con "il coach" per eccellenza sul futuro del club di proprietà di Giorgio Armani e del basket italiano in generale.

Coach Peterson, crede che dopo l'ennesima rivoluzione l'Olimpia riuscirà a tornare ai successi di un tempo?

"Credo che ora la società sia davvero sulla buona strada per tornare ad alti livelli, nel senso di conquistare lo scudetto ed essere protagonista in Europa. Flavio Portaluppi, da poco nominato general manager, mi ha detto una frase di quattro parole che mi ha assolutamente convinto: 'Meno nomi, più passione'. Significa che il club ha saggiamente deciso di non prendere più grandi nomi e strapagarli, con i risultati che si sono visti, ma di andare sul concreto, puntando su giocatori di sostanza che possono fare davvero la differenza per impegno e attaccamento alla maglia. Anche se poi è andato all'Olympiakos, mi è piaciuta l'idea di cercare di prendere Bryant Dunston: è con tipi di questo genere che Milano può tornare a vincere lo scudetto". 

Intanto il club di Armani ha strappato a Siena l'allenatore che ha vinto l'ultimo, di scudetto…

"Luca Banchi è una scelta perfetta e spero che tutti (pubblico e stampa) gli daranno il tempo per fare un buon lavoro, perché lui alla fine farà proprio quello. E non lo dico solo per il titolo appena vinto: Banchi era già un eccellente allenatore ai tempi del Basket Livorno. Deve scegliersi un altro vice, oltre al bravo Mario Fioretti, ma tutti i nomi che ho sentito fare sono ottimi. E se lo staff è valido, i risultati arrivano".

Quale l'arma in più della sua Olimpia che - potendo - trasmetterebbe a quella di Luca Banchi?

"La voglia di lottare che avevano giocatori come Premier, Meneghin, Gallinari, D'Antoni. Ma questa squadra ha già tre grandi 'fighters': Alessandro Gentile, Alessandro Melli e Keith Langford sono dei combattenti e sono sicuro - proprio per le parole di Portaluppi - che a loro se ne aggiungeranno altri. Quindi sono a posto, non c'è nulla da trasmettere".

Per questioni non sportive ma finanziarie, anche la Montepaschi Siena sta andando incontro all'ennesima rifondazione: pensa che i toscani riusciranno a essere ancora protagonisti?

"Non è ancora ufficiale, ma il nuovo coach sarà Marco Crespi, un altro che ha fatto ottime cose, a partire da due promozioni con Biella e Casale Monferrato che per me equivalgono a due scudetti. Siena dovrà appunto ridimensionarsi, ma conserverà quella cultura del lavorare bene di cui ha assoluto merito Fernando Minucci. Non dico che vinceranno lo scudetto, ma dico che saranno ancora competitivi: guai a non rispettarli!".

A doversi ridimensionare è comunque tutto il basket, con tante società a rischio fallimento o addirittura già scomparse: il suo parere in merito?

"Tutti soffrono la crisi in modo spaventoso, ma allo stesso tempo la crisi ha motivato le società a volare basso: anziché decidere di stipulare contratti per 6 milioni di euro con incassi da 2 milioni, finendo così per fallire, oggi il primo obiettivo è rimanere nel budget. Lo stanno facendo anche molte società di calcio, preferendo contratti a parametro zero o scambio di giocatori senza mega-esborsi economici, e a maggior ragione devono farlo quelle di basket. Poi magari accade che Dunston vada appunto all'Olympiakos, ma l'idea ora non deve essere quella di vincere l'Eurolega ma di sopravvivere. Volare basso è per me quindi assolutamente ok e può anche farti scoprire nuove risorse".

A proposito di volare basso: Lei che è stato protagonista dell'indimenticata finale tra Milano e Roma nel 1983, come ha giudicato la scelta del club capitolino di non giocare la serie finale al PalaEur preferendo l'assai più piccolo PalaTiziano?

"Onestamente, per la promozione del basket io avrei voluto almeno la serie finale al PalaEur, anche con tutte le difficoltà legate all'impianto più grande e quindi più costoso. È chiaro che quella scelta non riflette una mentalità da metropoli ed è altrettanto chiaro che ne sono consapevoli gli stessi dirigenti della Virus Roma, che però hanno scelto di volare basso e - come dicevo prima - per me è ok. Non posso che condividere questo modo di ragionare: è questo oggi il primo passo vincente per ogni società". 

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Paolo Corio