La palombella (rosso)nera di Balotelli
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La palombella (rosso)nera di Balotelli

Da bulletto di periferia a icona mondiale (smentita): la veloce maturazione di SuperMario sui media italiani

Quanto contano due anni e mezzo nella vita di un giovane uomo? Tanto nel periodo della maturità, tantissimo se ti chiami Mario Balotelli e in poco meno di 30 mesi riesci a fare l'inversione a U più difficile della tua vita da "figlio di questa epoca senza ideali" a "leggenda azzurra" e "icona mondiale". Tutto in due anni e mezzo, andata e ritorno nei (pre)giudizi della stampa e di riflesso dell'opinione pubblica italiana. Non è passato un secolo. Era solo la primavera del 2010 e Balotelli era già un calciatore formato, famoso e vincente.

Per chi l'avesse rimosso è bene ricordare che a quell'epoca SuperMario aveva già in bacheca 2 scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana e si apprestava a conquistare il Triplete coronando tre stagioni da protagonista: 86 presenze e 28 reti realizzate. Certo, c'erano le liti con Mourinho e le punizioni. E c'era qualche gesto di troppo in campo con avversari e tifosi. Però che Balotelli fosse un talento immenso era chiaro già due anni e mezzo fa.

Eppure la critica lo stroncava ad ogni eccesso. Bandito da Verona (sindaco Tosi) per aver rifiutato i buuu e gli insulti del pubblico del Chievo, definito degno di un "Daspo a porte chiuse della nazionale finché non avrà capito" da analisti e sociologi. Uno che "fa della provocazione sistematica il suo biglietto da visita" (Totti) e che, insomma, se le andava a cercare e andava rieducato. Quanto alla nazionale il problema del Daspo non si poneva nemmeno. Portarlo in Sudafrica? "Ogni ct ha il suo tormentone, pensi a fare bene con l'Under" gli mandava a dire Lippi che non ha cambiato idea nemmeno dopo: "Tra chi è rimasto a casa non ci sono calciatori da primi posti nel Pallone d'oro".

Molto deve essere cambiato e non solo perché nel frattempo Balotelli è passato anche dall'esperienza inglese che gli ha regalato sprazzi di gloria e critiche a valanga fino al divorzio più o meno consensuale dal Manchester City. In fondo solo tre mesi fa, anche se l'imbarazzo ha imposto la quasi rimozione dell'episodio, lo stesso Berlusconi diceva " siccome io ho avuto modo per vicende della vita di dare un giudizio sull’uomo Balotelli, è una persona che io non accetterei mai facesse parte dello spogliatoio del Milan".

Tutto dimenticato. L'inversione a U è stata completa. Ora Balotelli è uomo copertina, uno che si può girarsi dall'altra parte facendo finta di niente se alla fine di un derby si mette le mani sui genitali provocando i suoi ex tifosi (Prandelli: "Non mi sembra una cosa gravissima") e che "bravo a non rispondere alle provocazioni" se a Malta si limita a fare gli occhi truci a un mezzo dilettante che lo marca.

Già, Malta e la doppietta che gli hanno aperto le porte dell'eternità. 'Balotelli leggenda azzurra, solo Meazza meglio di lui' il titolo (sobrio) in prima del Corriere dello Sport. Meglio di lui come marcatore Under 23 in nazionale. E via con i paragoni. Mazzola? No meglio. Riva? Forse. Diventerà anche più forte visto il talento, ma quello che colpisce è come siano bastate 7 partite al Milan e un paio in nazionale per cancellare il passato.

La (non) notizia del premio del Time come uno dei cento uomini più influenti del pianeta data con enfasi dalla Gazzetta dello Sport ha un po' il sapore della beatificazione in corso. Forse ha ragione Prandelli quando (26 febbraio scorso) spiegava che la fortuna di Mario era quella di "essere arrivato in una grande società con un grande allenatore che gli permettano di esprimere al meglio le sue qualità". Non era passato nemmeno un mese dal suo approdo a Milanello. Con buona pace di Mancini, Mourinho e della storia di club come Inter e Manchester City.

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