Volley: sarà il Campionato di Valentina Diouf?
Riccardo Giuliani
Lifestyle

Volley: sarà il Campionato di Valentina Diouf?

In attesa dell'esordio in A1 con la maglia del Busto Arsizio, l'attaccante protagonista ai Mondiali si racconta fuori e dentro il campo

Classe 1993, padre senegalese e madre italiana, cresciuta a Settimo Milanese, Valentina Diouf è il simbolo della nuova generazione "made in Italy" del volley femminile. Insieme alle compagne della Nazionale, l'opposto di 202 cm ha riacceso l'entusiasmo del grande pubblico per la pallavolo durante i recenti Mondiali organizzati nel nostro Paese e sarà - c'è da scommettere - tra le protagoniste del Campionato 2014-2015. L'abbiamo incontrata proprio alla vigilia della prima gara con la maglia biancorossa dell'ambiziosa Unendo Yamamay Busto Arsizio, dopo tre stagioni nella Foppapedretti Bergamo.

Com'è nato l'amore per la pallavolo?
"Non me l'ha trasmesso nessuno: né i miei genitori – però papà è alto 1 metro e 96 cm, da lui ho ereditato una qualità che mi aiuta parecchio! – né qualche amica. È stato tutto merito della tv: come tante bambine, non mi perdevo nemmeno una puntata del cartone animato Mila e Shiro. Ho cominciato a giocare a 6 anni e non ho più smesso".

A proposito di genitori: cosa ti hanno detto, quando lo sport si è trasformato in lavoro?
"Mi hanno appoggiata. Del resto, sono sempre stata una ragazza con la testa sulle spalle. Nello studio ero brava, non ho avuto problemi nemmeno quando sono entrata a far parte del Club Italia di Serie A2, a 16 anni".

Che scuola hai frequentato?
"Sono diplomata in Ragioneria".

Non hai pensato di iscriverti all'università?
"Sì, ma ho preferito concentrarmi sulla pallavolo. Sono convinta che bisogna dedicarsi anima e corpo a un obiettivo. Però, la laurea resta un traguardo che non ho accantonato. Facoltà? Economia e Commercio".

Ai Mondiali hai dimostrato di essere tra le attaccanti migliori del pianeta: se ricevessi la proposta di giocare in una squadra estera?
"Valuterei l'offerta, ora sarei pronta ad allontanarmi dall'Italia; fino a qualche tempo fa, mi bloccava l'idea di non avere accanto la famiglia e non sentire il sostegno del nostro tifo".

Ti sei appena trasferita alla Unendo Yamamay: come ti trovi a Busto Arsizio?
"Bene, l'ambiente è eccezionale e ho trovato grande entusiasmo. Per la prima volta abito da sola, ho solo 21 anni ma credo che fosse arrivato il momento. Mi fa compagnia Pepito: scherzi del destino, è un gatto nano!".

Te la cavi con le faccende di casa?
"Sì. Sono una maniaca delle pulizie, disinfetto qualsiasi oggetto, non scherzo. E ai fornelli non sono male: il menù è abbastanza limitato, devo essere sincera, ma è colpa delle mie mille intolleranze".

Posso chiederti se hai mai sofferto tutt'altro genere di intolleranza?
"Quella verso il colore della pelle? No, non mi capitato nessun episodio, ma di razzisti ce ne sono in giro parecchi, l'ostilità si avverte. Comunque, io saprei come reagire, se fossi attaccata: resterei impassibile. Gli ignoranti non meritano attenzione e non si rendono conto che, con il loro atteggiamento, dimostrano di sentirsi inferiori, oltre che meschini".

Che legame hai con l'Africa?
"Non molto forte: sono andata in Senegal una volta e so poco delle mie origini. Di sicuro approfondirò la conoscenza – mi interessa, naturalmente – ma mi sento italiana al 100 per cento. Anzi, milanese al 100 per cento!".

Traccia l'identikit della milanese doc.
"Puntigliosa, precisa, altezzosa con i ragazzi e modaiola, molto modaiola. Eccomi!".

Ragazzi: sei fidanzata?
"No, ho chiuso da poco una storia lunga, per ora resto single".

Moda: il tuo look preferito?
"Super-femminile: sto in tuta e sneakers la maggior parte della giornata, quando esco ho bisogno di vedermi carina, donna, insomma. Jeans e t-shirt non mi fanno impazzire mentre adoro vestiti e tacchi, anche di 12 cm. Spanna più spanna meno, sono sempre la più alta!". (ride, ndr)

Se dovessi descriverti con un paio di aggettivi?
"Domanda difficile. Di sicuro determinata: quando mi metto in mente un obiettivo, non mollo finché non lo raggiungo".

Si è capito durante la semifinale dei Mondiali contro la Cina e ancora di più nella sfida con il Brasile per il bronzo, quando hai messo a segno 31 punti.
"Nel match per il terzo posto ho giocato meglio del giorno prima, nonostante l'amarezza per la sconfitta fresca. Non è facile tornare in campo, dopo una delusione enorme: per riuscirci, ho lavorato tanto su me stessa. Perché, se è vero che possiedo un temperamento forte, in alcuni frangenti anche io mi sento crollare il mondo addosso".

Eppure hai dimostrato di reagire benissimo.
"Grazie alla mia positività; e poi ho capito che nello sport non devi mai dare l'impressione di essere fragile, altrimenti rischi di perdere il posto in squadra, il rispetto e la stima dell'allenatore, delle compagne e delle avversarie".

Il tuo sogno?
"Vincere tutti i trofei. L'appagamento che ti regala un trofeo non ha paragoni, provi pura felicità. Qualche medaglia l'ho già messo al collo e, quando una gara va storta, niente mi stimola a dare il massimo quanto ripensare a quei momenti di gloria".

Il tuo sogno fuori dal palazzetto, invece?
"Essere serena. Mi ha illuminata un viaggio in Thailandia: mentre visitavamo i templi, la guida buddista ha detto che non sono di certo le cose materiali a portare gioia. Concordo perché l'ho sperimentato: quando finalmente possiedo qualcosa che desideravo tanto, vado subito in cerca di altro. La soddisfazione per un acquisto passa subito, per fare un esempio; al contrario di ciò che accade quando mi emoziono. È proprio vero che le cose più preziose della vita non si comprano!".

La lezione della pallavolo femminile

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