Bolt, l'uomo più veloce del mondo
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Bolt, l'uomo più veloce del mondo

Panorama è andato a casa del campione che ha vinto l'oro Olimpico nei 100m - Lo Speciale su Londra 2012 - il medagliere - Rai contro Sky - Le immagini della gara -

di Mark Bailey

Il velocista più forte del mondo se ne sta sdraiato immobile sulla pista da corsa blu della University of the West Indies di Kingston, in Giamaica. Sembra che stia dormendo. È alto quasi 2 metri. La T-shirt, leggermente sollevata, lascia intravedere addominali scolpiti. Da un festival nelle vicinanze riecheggia musica reggae. Un sorriso soddisfatto incornicia il viso di Usain Bolt.

È circondato da molte persone frenetiche: una troupe cinematografica, sponsor e pr, un fotografo che sta preparando il prossimo scatto. Alcuni ragazzini scavalcano la recinzione e si nascondono dietro a uno striscione pubblicitario. Di tanto in tanto lo sollevano e con fare furtivo si avvicinano sempre più al loro idolo. Il fotografo si dirige verso Bolt e si mette sopra di lui a gambe divaricate, con la macchina pronta a scattare. Improvvisamente l’atleta apre un occhio e si guarda intorno, scrutando la scena. Poi cerca con gli occhi Nugent Walker junior (Nj), suo assistente personale, nonché coinquilino e migliore amico dai tempi delle elementari. Nj non riesce a smettere di ridere e cerca nelle tasche il suo cellulare con fotocamera. Anche Bolt non riesce più a trattenersi e scoppia in una fragorosa risata che risuona nell’aria.

Questa è la vita di Usain Bolt, il fenomeno internazionale della velocità inseguito da sponsor, fan e media internazionali e circondato da una manciata di amici che con il loro affetto lo proteggono dalla follia. Nel suo entourage personale si respira un’atmosfera familiare. La sua stylist, un’imponente matrona giamaicana, tampona il trucco sul viso dell’atleta come farebbe una tata con un bimbo. La sua pr, Carole, gli porta un piatto di riso e pollo. Se queste due donne rappresentano le figure materne che lo tengono sotto controllo, il suo coach, Glen Mills, e il suo manager, Norman Peart, fanno le veci di padri severi, ma premurosi. Il suo agente, Ricky Simms, e Nj sono come fratelli, pronti allo scherzo, ma anche a proteggerlo. Persino le sue guardie del corpo, in jeans e scarpe da ginnastica, hanno la stessa noncuranza di Bolt.

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Il mondo privato di Bolt è questo: un ambiente informale e divertente in cui può trovare calore e sostegno. «Tutte queste persone sono fondamentali per me» afferma allegramente con la sua voce profonda. «Naturalmente adesso sono in molti a volermi conoscere ed è difficile capire di chi ci si può fidare. Tutte le persone con cui lavoro mi conoscono da anni. E ho degli amici d’infanzia su cui potrei mettere la mano sul fuoco. Facciamo ogni cosa insieme: ridiamo, giochiamo ai videogame, usciamo, parliamo. Li considero membri della mia famiglia. Ci sono sempre».

Il delirio attorno alla sua figura è in costante aumento. Secondo le stime, ben 4 miliardi di persone in tutto il mondo seguiranno in tv la sua prestazione alle Olimpiadi di Londra 2012, quest’estate. Bolt, 25 anni, non lascia trapelare alcuna tensione. Quando non è sulla pista, ogni suo movimento è di una lentezza esasperante. Trasuda buonumore contagiando quelli che gli stanno attorno. Dice che non vede l’ora di andare in Inghilterra. «Ho avuto sempre tanti sostenitori a Londra, soprattutto perché tanti giamaicani vivono lì, ed è dalle Olimpiadi di Pechino che ci penso. Voglio diventare una leggenda, essere ricordato per sempre. Per questo, a Londra devo dare tutto me stesso. Spero di riuscire a sfoderare una prestazione straordinaria».

Il suo volto campeggia sui manifesti pubblicitari della metropolitana di Londra, all’aeroporto Jfk di New York e su cartelloni a Kingston. «Mi piace tutto questo» dice con un sorriso a 36 denti. «Amo vedere la mia immagine in ogni parte del globo. Adoro essere al centro dell’attenzione».

Bolt ha registrato il suo primo record mondiale nei 100 metri (9 secondi e 72) a New York nel maggio 2008, battendo di 0,02 secondi il record del collega giamaicano Asafa Powell. Nell’estate dello stesso anno, alle Olimpiadi di Pechino ha messo a segno tre record mondiali, nei 100 metri (9”69), 200 metri (19”30) e nella staffetta 4 x 100 (37”10). L’anno successivo ha abbassato ulteriormente i suoi record personali (9”58 e 19”19) ai mondiali di Berlino.

In una ricerca, Ethan Siegel, un astrofisico teorico americano, sostiene che Bolt rappresenta un balzo in avanti epocale. Il record mondiale maschile nei 100 metri è sceso di 0,05 secondi ogni 10 anni dal 1968 (quando Jim Hines corse per primo sotto i 10 secondi). Ma, secondo i grafici di Siegel, il velocista giamaicano, con le sue prestazioni, è tre decenni più avanti rispetto a quanto sarebbe possibile nella nostra epoca. E il dottor Peter Weyand, un fisiologo della Southern Methodist University di Dallas, afferma: «Bolt è un mostro: sfida le leggi biologiche».

Usain ha doti fisiche uniche. «È un indi viduo veramente fuori dal comune e questo basta a spiegare la sua velocità» spiega Mark Denny, professore di biologia alla Stanford University. Grazie alle sue lunghe gambe in 41 passi riesce a completare i 100 m, mentre ai suoi rivali ne occorrono 44. Ha un’elevata percentuale di fibre muscolari a contrazione rapida, a cui si deve una velocità esplosiva, e riesce a convogliare oltre 450 kg di forza in ogni falcata, il doppio rispetto allo standard umano, secondo Weyand. Il professor Alan Nevill, biostatistico della University of Wolverhampton, sostiene che grazie alla sua notevole altezza Bolt riesce a dissipare il calore più velocemente, quindi i suoi muscoli possono lavorare con maggiore efficienza.

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Tuttavia, l’atleta pare non prendere troppo sul serio i doni che la natura gli ha riservato. È famoso per mangiare bocconcini di pollo fritti prima delle gare importanti e per fare razzia nei ristoranti cinesi durante i suoi viaggi a Londra. Si esibisce in danze giamaicane sulla pista e ha battuto il record dei 100 m a Pechino con un laccio slegato, celebrando la vittoria parecchi metri prima del traguardo. In realtà le sue doti sono affinate da un regime d’allenamento estenuante. Trascorre ore e ore sulla pista per perfezionare la tecnica e in palestra per il potenziamento muscolare. «Dato che sono sempre in giro a divertirmi, e quando corro non sembro fare grandi sforzi, molti pensano che io sia pigro e a volte lo sono veramente» ammette. «Ma vi invito a venire sulla pista alle 6 di mattina ad assistere ai miei allenamenti. Sicuramente ho talenti innati, ma sono io il maggiore artefice del mio successo. Mi diverto perché lavoro sodo».

Usain St. Leo Bolt è nato il 21 agosto 1986 a Trelawny, nel nord-ovest della Giamaica. È cresciuto in un bungalow con il padre, Wellesley, che gestiva un negozio di alimentari, e la madre Jennifer. Ha trascorso l’infanzia con la sorellastra più grande, Christine, e il fratellastro più giovane, Sadiki. Era un bambino iperattivo. Riusciva bene nel calcio e nel cricket, ma era nella velocità che brillava, vincendo gare scolastiche e regionali. Grazie al suo piatto preferito (maiale alla giamaicana e gnocchi cucinati dalla zia Lilly) Bolt cresceva diventando sempre più forte e veloce. Vinse una borsa di studio per meriti sportivi per la William Knibb high school di Trelawny. Odiava gli allenamenti e per evitarli si nascondeva nelle sale giochi vicine. Così il suo talento, anziché brillare, si limitava a luccicare incerto. Ma a 14 anni mise la testa a posto. L’anno successivo vinse la medaglia d’oro nei 200 metri ai campionati del mondo juniores di Kingston. Prima della gara era talmente agitato che invertì le scarpette chiodate, ma fu un momento cruciale. «Dopo avere vinto davanti alla gente del mio paese pensai: perché preoccuparmi ancora? Da quel momento in poi sono sempre stato tranquillo».

La Giamaica cominciò a riporre grandi speranze nel giovane sprinter quando iniziò la carriera professionistica nel 2004, ma a causa della sua indisciplina e degli infortuni, le Olimpiadi di Atene si rivelarono un autentico disastro: Bolt venne eliminato al primo turno nei 200 metri. In Giamaica, i giornalisti non gli risparmiarono feroci critiche; i giornali erano pieni di vignette che lo sbeffeggiavano; la gente lo prendeva in giro quando lo incontrava per strada. «Dicevano un sacco di cose spiacevoli su di me, per esempio che ero pigro e che passavo il tempo nei locali a divertirmi. Sostenevano che la mia carriera fosse finita».

Si rivolse allora a Glen Mills, un corpulento e occhialuto allenatore di velocisti che abitava a Kingston. Mills capì subito la causa degli infortuni di Bolt: era affetto da scoliosi e lo fece curare. Con il suo tatto riuscì anche a gestire il carattere ribelle del velocista. «Riesce a capirmi ed è per questo che siamo un team vincente» afferma Bolt. «È una persona seria e io non gli faccio perdere tempo, ma lui riesce a rendermi tutto divertente. Ho bisogno di ridere. È buffo, di solito non vedo l’ora che arrivi la fine della stagione per poter finalmente andare a festeggiare, ma dopo due settimane desidero ritornare perché mi manca il divertimento in pista».

La villa di Kingston in cui vive è composta da cinque camere e sembra uscita dalla fantasia di un adolescente. In ogni stanza vi sono televisori gigantechi al plasma, console di gioco, mixer da dj e palloni da calcio. All’esterno ci sono una piscina e una flotta di auto di lusso, tra cui una Range Rover, tutte nere. Bolt vive con Nj e Sadiki. Il trio trascorre ore ai videogame o nei locali di Kingston. Detesta le faccende domestiche. «Pulisco la mia stanza una volta all’anno, solo per senso del dovere» sbuffa. «Ma abbiamo le donne delle pulizie. Se mi vedessero mentre pulisco sarebbe uno shock per loro. Tuttavia una volta ho pulito il mio armadio».

Non c’è da meravigliarsi se perde le cose. Ha lasciato le medaglie d’oro che ha vinto alle Olimpiadi in una stanza d’albergo a New York (ma poi è riuscito a recuperarle), e ha ritrovato quelle conquistate ai campionati del mondo, nel suo armadio, dopo un anno di ricerche. Ha alle sue dipendenze un cuoco per mantenere una dieta equilibrata. «Il mio allenatore gli dice quali piatti cucinare, che naturalmente sono ben lontani dal pollo fritto del Kentucky Fried Chicken» afferma con tono cupo. «Segue pedissequamente le istruzioni e così faccio anch’io».

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Bolt è un agorafobico borderline. «A Londra non sono nemmeno riuscito ad andare a comprare vestiti in Oxford street» afferma. «Sono stato assalito dalle grida delle persone che volevano scattarmi una foto col telefonino: un incubo. In Giamaica se entro in un supermercato mi va ancora bene perché la gente cerca di mantenere un certo contegno, ma se uno mi chiede di scattare una foto allora anche tutti gli altri mi vengono incontro: un caos».

Bolt ha anche un lato tranquillo. Il suo passatempo preferito è il domino. Confessa che gli piace ancora schiacciare un pisolino sul divano con la testa posata sul grembo di sua madre. Adora la campagna. «Lontano dalla città la gente non mi stressa così tanto. Vado a trovare i miei genitori che si stanno godendo la pensione. Ci sediamo insieme e giochiamo a domino bevendo birra in totale relax. Amo la campagna. Ed è lì che costruirò la casa dei miei sogni».

Seppure con ritrosia ammette di non essere single. «Sono passato da una ragazza all’altra» confessa con una risatina «ma ci vuole tempo per incontrare quella giusta e penso che stavolta sono sulla buona strada». Non le è mai balenata l’idea di diventare padre? «Ho sempre pensato: dopo le Olimpiadi, Ma ho rotto con la mia ultima fidanzata tre anni fa quindi bisognerà aspettare ancora qualche anno prima di pensare di mettere al mondo dei piccoli Bolt. Li vizierò senz’altro e questo potrebbe essere un problema serio. Ho avuto un padre severo e desidero insegnare ai miei figli il rispetto, ma avrò un atteggiamento più rilassato nei loro confronti».

Per ora, Bolt ha preoccupazioni più imminenti. Il mondo si aspetta da lui imprese straordinarie quest’estate. Lui spera di completare i 100 metri in 9 secondi e 4 e i 200 m in meno di 19. Ce la farà a Londra? «Chi lo sa?» afferma. «Sono convinto di potere realizzare qualcosa di speciale nei 200 m. Nei 100 metri è la tecnica a fare da padrona. Se qualcosa va storto, non si riesce a correre molto velocemente. Quella dei 200 m è la gara che mi viene più naturale in assoluto. Staremo a vedere».

Il principale rivale di Usain nella breve distanza è il suo compagno di allenamenti, Yohan Blake. L’anno scorso il 22enne ha vinto i 100 metri ai mondiali di Daegu, Corea, dopo che Bolt era stato squalificato per falsa partenza. «Secondo qualcuno, Bolt aveva saltato perché sapeva che Blake era molto veloce» sostiene Weyand. Bolt riconosce di avere i nervi fragili, ma non di avere paura. «Per fortuna è capitato in quell’occasione e non alle Olimpiadi» afferma. «Ma non succederà più. Le mie condizioni non erano buone. E gli altri atleti non mi preoccupano. Se sarò in forma vincerò senz’altro».

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Sta già pensando anche al dopo Londra, cioè alle successive Olimpiadi di Rio. «Mi cimenterò sicuramente in una nuova specialità nel 2016» dice. «Forse nei 400 m o nel salto in lungo. Vorrei provare qualcosa di nuovo per non rischiare di annoiarmi». Quando appenderà le scarpette al chiodo gli piacerebbe entrare nel mondo degli affari, aprendo ristoranti, esplorando il campo della moda e della musica. Ha aperto un bar a Kingston chiamato Usain Bolt’s Tracks & Records. «È diverso da tutti gli altri, proprio come me. Credo che con un po’ di applicazione potrei essere un bravo uomo d’affari, però forse delegherò tutto a Nj e mi terrò solo gli onori». Si ferma un attimo per riflettere. «In verità, desidero solo essere felice. Tra 10 anni vorrei vivere tranquillo in una bella casa con la mia famiglia e…rilassarmi, nient’altro».

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Nel suo locale ci sono televisori ovunque – tra i tavolini, sopra al bancone, nelle toilette. «Usain passa mai di qui?» chiedo alla cameriera. «Certo» risponde. «E vi dà una mano?». La donna aggrotta le ciglia. «No. Si siede semplicemente su quel divano a bersi una birra. Ma va bene così. Lo adoriamo. Tutti amano Usain».

Usain Bolt è l’ambasciatore dell’innovazione della Visa Europe. Attualmente è il protagonista della nuova campagna pubblicitaria «La vita va presa con Visa più velocemente» lanciata dalla Visa Europe, dedicata a sistemi di pagamento contactless e mobili.
© Telegraph magazine / The Interview People

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