L'uomo che salvò le regole del basket
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L'uomo che salvò le regole del basket

Scoperto che i documenti originali del 1891 stavano per andare all'asta, Josh Swade ha giocato la sua partita per riportarle a casa, all'University of Kansas: ecco com'è andata...

Dicembre 1891, YMCA College di Springfield (Massachusetts), pochi giorni prima di Natale: dopo una notte insonne, passata a perfezionare le sue idee di base, il padre canadese James Naismith stila le regole di un nuovo sport, il basket. Dicembre 2010, Sotheby's di New York, sempre qualche giorno prima di Natale: quelle stesse regole (due pagine dattiloscritte con un paio di aggiunte a penna) stanno per andare all'asta. E per Josh Swade, nato e cresciuto a Lawrence, in Kansas, si sta per giocare la partita più importante: evitare che quegli storici fogli finiscano nel caveau di qualche facoltoso collezionista e portarli invece alla University of Kansas di Lawrence, di cui Josh è a dir poco tifoso e dove padre Naismith - lasciata Springfield - ha vissuto e insegnato per 41 anni.

Non è la trama di un film, ma una storia vera. Che in effetti è poi diventata un film dal titolo "Le regole del gioco", in programmazione da venerdì 4 gennaio su Espn Classic (canale 216 di Sky): un road-movie in presa diretta, che racconta come Josh - letta l'inserzione di Sotheby's sulle pagine del New York Times - si sia messo a cercare un donatore che potesse trasformare il suo sogno in realtà, trovando poi l'appoggio vincente nel portafoglio di David Booth, già finanziatore di altri progetti della University of Kansas, che ha riportato a casa le regole del basket ("There's no place like home" è il titolo originale) offrendo la bellezza di 4,3 milioni di dollari. Sì, il finale è a lieto fine, ma conoscerlo non toglie nulla alla visione del documentario proposto da Espn nella serie "30per30". Così come è interessante ascoltare la storia dalla voce dello stesso Josh Swade, che PanoramaWeb ha raggiunto a New York, dove vive e lavora, sempre però pronto a prendere un aereo per volare a veder giocare la sua adorata KU (University of Kansas) all'Allen Fieldhouse arena. "Ovvero il più grande luogo al mondo dove vedere una partita di basket", ci dice subito lo stesso Josh, "il Duomo (lo pronuncia in italiano, ndr) del basket, dove il vero appassionato vive un'esperienza mistica. Ci tengo a dirlo ai vostri lettori: promettimi di scriverlo e ti racconterò tutto ciò che vuoi".

Ok, promesso. E veniamo allora subito a una domanda spinosa: il film emoziona, ma ad alcuni può suonare sospetto il fatto che tu ti sia messo alla caccia di un donatore con una telecamera al seguito... Volevi davvero solo riportare a casa le regole del basket?
"Ho letto l'inserzione sul New York Times sei settimane prima dell'asta e dal primo momento ho pensato solo a come farle arrivare in quella che io ritengo sia la loro casa naturale, ovvero a Lawrence, nel campus della University of Kansas. Poiché lavoro in una piccola casa di produzione televisiva di New York, ne ho parlato con il mio capo ed è stato lui a suggerirmi di partire subito, ma di portarmi anche dietro un amico che filmasse il tutto, perché magari ne sarebbe uscito qualcosa di buono... come poi in effetti è stato. Ma la mia preoccupazione era esclusivamente trovare qualcuno disposto ad aiutarmi economicamente, il film era assolutamente secondario".

Hai visto tanti donatori prima dell'incontro "vincente" con David Booth?
"Ne ho contattati diversi al telefono, ma di persona ne ho visti solo tre, anche perché non c'era molto tempo a disposizione... Per essere ricevuto, raccontavo che stavo girando un documentario sulle originali regole del basket di James Naismith, che tra l'altro è stato il fondatore del programma di basket della KU. Solo di persona rivelavo poi le mie vere intenzioni e con David Booth, la cui famiglia sapevo aver già speso una fortuna per l'Hall of Athletics dell'University of Kansas, ero convinto di dovermi giocare al meglio le mie carte e non mi sbagliavo: David era davvero l'unica persona che potessi incontrare con il mio stesso amore per il basket e per KU insieme, la più indicata per capire che le regole del basket dovevano essere per sempre ospitate a Lawrence".

Nel film si vede che hai incontrato anche gente normale: la strategia era dunque a 360°?
"Sì, la mia idea era che potevo sempre trovarmi davanti la persona giusta e che quindi tanto valeva lanciare la richiesta d'aiuto in ogni contesto. Tanti incontri sono stati tagliati per ragioni di durata della pellicola, ma nel film è rimasto uno dei più curiosi: lungo la strada, in un fast-food nel cuore del North Carolina, ho trovato un gruppo di preghiera che aveva scelto quel luogo insolito per riunirsi. Così ho deciso di prendere la parola, raccontando cosa stavo facendo e chiedendo loro di dire una preghiera anche per aiutarmi nella mia missione speciale: sono sicuro che quella sera, una volta tornati a casa, tutti loro l'abbiano fatto".

In effetti il miracolo c'è poi stato...
"Vero, e mi ha confermato quello che ho sempre pensato in generale della vita: se persegui un obiettivo non per la fama o per i soldi, ma perché sei mosso dalla passione, ti possono accadere le cose più grandi e impensabili. Al di là della storia in sé e dell'amore per il basket, è questo il messaggio che spero possa dare il film, frutto - ci tengo a dirlo - anche e soprattutto della bravura in regia di Maura Mandt: una pellicola diversa dagli altri documentari perché, nel raccontare una storia di sport, ne contiene tante altre con il filo conduttore di quello che puoi riuscire a ottenere mettendoci tutto l'amore possibile in quello che fai".

Abbiamo letto che ora all'University of Kansas stanno preparando per le regole del basket una casa nel senso letterale del termine: a che punto sono con i lavori?
"Hanno già selezionato il progetto e approvato il budget per realizzare una struttura espositiva collegata alla stessa Allen Fieldhouse: dovrebbe essere tutto pronto per il novembre 2014, dopo di che il campo di gioco della KU sarà davvero la casa del basket. Entrarci sarà per ogni appassionato un'esperienza indimenticabile, così com'è stato per me - durante la mia ricerca di un finanziatore - ritrovarmi seduto davanti a Larry Brown e Roy Williams, due dei più grandi allenatori della storia di questo sport. L'incontro con David Booth ha trasformato il mio sogno in realtà, ma le parole di questi due formidabili coach e il modo in cui mi hanno accolto e incoraggiato, debitamente documentato nel film, sono state per me le emozioni più grandi di quest'avventura".

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Paolo Corio