Swatch Skiers Cup 2014, freestyle d'élite
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Swatch Skiers Cup 2014, freestyle d'élite

Si è tenuta a Zermatt, nella Svizzera del Canton Vallese, la quarta edizione della manifestazione organizzata dalla Swatch. Il Team America ha battuto il Team Europe. La parola ai due capitani - Le foto dei protagonisti

A Zermatt, la porta svizzera al Cervino, città ricca di storia e di fascino ma pure di alberghi a cinque stelle e botteghe di lusso, si è conclusa venerdì scorso la quarta edizione della Swatch Skiers Cup, l'ormai tradizionale sfida-esibizione tra gli acrobati sugli sci del Team America e quelli del Team Europa. Hanno avuto la meglio i primi grazie al trionfo nella prima prova, lo “slopestyle”, un concentrato adrenalinico di salti e piroette da trattenere il fiato per l'emozione. La seconda prova, che avrebbe messo di fronte le due squadre nella specialità “big mountain” (la discesa di ripidi pendii improvvisando percorsi inediti sulla neve fresca), è stata cancellata a causa del maltempo. E' cosa nota: a quota 3500 si può prevedere tutto tranne il cambiamento delle condizioni meteoreologiche. Uno sbadiglio e il sole se ne va per lasciare il posto alle nuvole e al vento. Da qui, la decisione dei due capitani di chiudere anzitempo la competizione: non si scherza con l'alta montagna.

Con questa vittoria, il Team America, guidato dal canadese Jp Auclair, una leggenda vivente per chi pratica lo sci freestyle, pareggia i conti della manifestazione promossa dalla Swatch. Ora è 2-2, con buona pace del Team Europe, capitanato quest'anno da un'altra stella dello sport che è diventato olimpico nel 1992 ad Albertville. Stiamo parlando del francese Julien Regnier, considerato dagli addetti ai lavori uno dei principali ispiratori di questa disciplina che raccoglie adepti e consensi in tutto il mondo. Dalla schiena del Cervino a un tavolino di un locale notturno di Zermatt. Prima di dare il rompete le righe, i due capitani accettano di rispondere alle nostre domande davanti a un boccale di birra. America contro Europa, il duello si rinnova in contenuti e prospettive.

Il Team America ha pareggiato i conti. Tutta colpa delle cattive condizioni meteo o c'è dell'altro? Non fosse stata annullata la seconda prova, le cose sarebbero andate diversamente?

JU: “No, meritano la vittoria perché hanno dimostrato di essere i migliori. Le regole che avevamo stabilito parlavano chiaro, bastava aggiudicarsi un round per vincere la gara e così è stato. Non potevamo gareggiare nel big mountain, ne andava della sicurezza degli atleti”.

JP: “Credo che sarebbe andato bene comunque. Avevamo un'ottima squadra per entrambe le gare, quindi probabilmente avremmo vinto in ogni caso. Non nego però che saremmo stati più felici di completare l'evento e di giocarcela fino in fondo sulla pista”.

Qual è per voi il confine tra spettacolo e sicurezza? Tra il rischio fine a se stesso e gli applausi del pubblico che vi aspetta al traguardo? Assistendo per la prima volta a una delle vostre gare, qualcuno potrebbe pensare che avreste bisogno di fare un tagliando dallo psichiatra.

JU: “Sono sempre stato dell'idea che sia inutile prendere rischi stupidi. In questo sport non si scherza. Se sbagli, ti puoi fare male, molto male. Il limite? Il buon senso. Per noi, è una passione, ma sappiamo che bisogna usare la testa, altrimenti sono guai”.

JP: “L'unica decisione che prendo è il momento in cui fare una cosa, oppure no. Non cambia il mio approccio al quotidiano, so quando procedere e quando fermarmi. Di volta in volta, interpreto ciò che mi accade intorno in relazione al mio stato di forma. Se mi sento bene, per me non c'è differenza tra divertimento e gara. Procedo nello stesso modo”.

In una parola: perché? Cosa cercate praticando questo sport?

JU: “Per me, è una questione di famiglia. Da mio padre a mia madre, passando per mio nonno e per alcuni miei cugini. Tutti in famiglia sciano da quando erano piccoli. Farlo con loro è stato un passaggio naturale. L'idea del freestyle è poi venuta da sé. Da ragazzino, amavo fare i salti sulla neve, così ho presto cominciare a fare le due cose insieme”.

JP: “Cerco di scoprire cosa c'è dietro l'angolo. E dopo averlo scoperto, so che c'è un altro angolo e un altro ancora. Praticare questo sport mi completa come uomo e come atleta. E' una sensazione di libertà che mi ripaga di tutti gli sforzi che faccio ogni giorno per fare sempre meglio”.

Tre suggerimenti (o avvisi) da girare a coloro che vogliono diventare i freestyler del futuro.

JU: “Il freestyle skiing è uno sport che richiede pratica ed esperienza. Devi conoscere il tipo di neve, interpretare in tempi rapidi le condizioni meteo e fare tanto esercizio sul campo. Per evitare brutte cadute e guai dell'ultimo minuto. Devi essere pronto per batterti, certo, ma pure e soprattutto pronto per accettare una sconfitta. Soltanto così avrai la possibilità di rialzarti e di fare meglio la prossima volta”.

JP: “D'accordo su tutta la linea. Non potrei aggiungere altro”.

Il vostro rapporto con la paura?

JU: “La paura è importante, per me rappresenta un'energia, guida la mia esistenza. Non gli do un significato né positivo né negativo, è un campanello d'allarme che ti obbliga a rimanere concentrato su quanto stai facendo e a non prendere mai sottogamba una prova. Devi imparare a controllarla, per non lasciarti sopraffare. Quando non sento di poter fare un salto e capisco di non avere il controllo su quanto sto facendo, mi fermo e torno indietro. Se non provi paura nel nostro sport, rischi di morire”.

JP: “C'è la buona e la cattiva paura. Quella buona ti permette di evitare problemi e di preservare te stesso, consentendoti di rimanere concentrato e di non andare mai oltre i tuoi limiti. Quella cattiva ti soffia sul collo e non ti consente di sciare come vorresti, lasciandoti una brutta sensazione nello stomaco. Quando mi accade di provarla, mollo tutto e torno a casa.

Sportivi o esploratori? Quale definizione sentite più vostra?

JU: “Sono quello che voglio essere a seconda delle occasioni che mi si presentano e delle scelte che faccio. Le categorie servono agli altri per giudicarmi, non a me”.

JP: “Io non voglio essere nessuno dei due in particolare. Ma entrambi allo stesso tempo”.

Qual è la vostra opinione sull'incidente capitato a Michael Schumacher? Voi vi lanciate da 4000 metri e scegliere il fuoripista come regola d'ingaggio. L'ex pilota della Ferrari, secondo le ultime ricostruzioni, sciava a due passi dal figlio su una delle piste più popolari d'Europa. Come dire, gli sport pericolosi sono (meglio, dovrebbero essere) altri.

JU: “Cosa dire, è sfortuna, destino, chiamatelo come vi pare. Essere vittima di un grave incidente mentre si scia a 20 km/h è un fatto insolito, capita molto raramente. Tuttavia, sono cose che accadono, anche se è difficile trovare una spiegazione convincente. Sono triste per lui, la sua famiglia e tutte le persone che lo conoscono. Spero si rimetta presto. Come evitare che si ripetano in futuro fatti simili? C'è una sola possibilità: rimanere a casa. E forse nemmeno lì si può dire di essere completamente al sicuro. Quando è la tua ora, non puoi scappare”.

JP: “Ho seguito la vicenda dal principio e ho potuto constatare come cambiava ogni giorno la versione su come sono andate le cose. Per il momento, non posso dire altro che mi dispiace per Michael e la sua famiglia. Finché non si saprà tutta la verità, è impossibile dare un giudizio definitivo su quanto è successo”.

Twitter: @dario_pelizzari

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Dario Pelizzari